Turchia, piccoli profughi siriani tra fame e macerie

Mahmud: insegnavo matematica, la mia villa distrutta ad Aleppo. "Si sopravvive con un buono spesa" L’inferno dei siriani al confine turco. Vita sottoterra in fuga dalle bombe

Una famiglia di profughi in una stanza a Kilis (Paola Viola)

Una famiglia di profughi in una stanza a Kilis (Paola Viola)

KILIS (Turchia), 3 aprile 2016 - MAHMUD Radwan ha lo sguardo basso mentre stringe tra le mani il suo curriculum. A casa, quando ancora ne aveva una, era un professore di matematica del liceo. Viveva in una villetta di cinque locali, con un bel giardino e tutti i comfort. Non era ricco, ma insieme alla moglie riusciva a garantire un’esistenza più che dignitosa ai suoi cinque figli, di cui due disabili. Oggi la sua casa non esiste più, distrutta nei bombardamenti di Aleppo, in Siria. Mahmud è fuggito due anni fa e ora vive a Kilis, in un palazzone fatiscente non lontano dal centro. Non ha neanche 40 anni ma il suo volto è segnato dal tempo e dalle fatiche. Lo sguardo assente mentre racconta del suo arrivo in Turchia, da clandestino.

«È STATA un’avventura ai limiti dell’umano – ricorda –. Cinquanta chilometri di strada attraversando campi minati e fossati, mentre intorno a noi infuriava la guerra». Un viaggio da 50mila lire turche, poco più di 250 euro, che oggi è già lievitato a più di mille euro a testa. Soldi che finiscono nelle tasche di scafisti senza scrupolo, che una volta incassato non si preoccupano più di niente e di nessuno. Mahmud ha lottato, si è arrangiato e oggi finalmente avrà una possibilità di riscatto: «Ho fatto un concorso – racconta con gli occhi lucidi – sono arrivato primo e adesso dovrei ricominciare a lavorare dietro una cattedra».

MA LA SPERANZA non arriva dovunque. Poco distante, in quello che sembra solo un magazzino abbandonato, abitano due bambini, Omar e Hamze: il primo ha 10 anni, il secondo quasi uno. Omar è affetto da un ritardo mentale, il papà è malato di diabete. Non ci vede più bene ma poco importa, perché in casa sua non c’è nemmeno una finestra e l’unica luce è quella che filtra dalle crepe sui muri, insieme all’umidità e al freddo. La mamma è fuori, «fa le pulizie», spiega il papà. Lui si muove a fatica e qualcuno deve pur portare a casa uno stipendio, se vogliono sopravvivere a Kilis. Mentre parla, alcuni volontari gli consegnano un buono spesa che terrà in vita lui e la sua famiglia almeno per un’altra settimana. Sembra poco, ma può diventare tantissimo quando si è abituati a vivere alla giornata. I suoi occhi si fanno gonfi e umidi: «Grazie – riesce soltanto a dire – grazie di essere qui».