Roma, 4 giugno 2025 – “Nessuna firma sotto i nostri piani per l’asilo. Il Partito per le libertà lascia il governo”. Con queste parole il leader dell’ultradestra olandese Geert Wilders ha dato il benservito al governo di coalizione sostenuto dal suo partito, primo per numero di deputati. Ufficialmente ‘The Dutch Trump’, il Trump olandese, come Wilders è stato ribattezzato, ha legato la caduta del governo, nato 11 mesi fa, con la non adozione delle politiche anti-immigrazione del Pvv, con cui nel 2024 aveva vinto le elezioni.
In realtà, l’immigrazione è anche una scusa – e sarà il tema della probabile campagna elettorale – che Wilders vuole cavalcare. La convivenza con il premier Dick Schoof (ex capo dei servizi segreti olandesi) e gli alleati liberali, centristi e della destra rurale, si era deteriorata da tempo sulla politica estera, leitmotiv comune delle destre sovraniste e dei partiti rosso-bruni europei. Nei giorni scorsi Wilders aveva attaccato il governo, dicendo di non esser stato consultato sulla scelta di rivedere l’accordo Ue di associazione con Israele. “Non abbiamo bisogno del tuo permesso per criticare Israele” aveva risposto il premier. Netta distanza anche nelle scelte sull’Ucraina. Wilders aveva attaccato Schoof, reo di avere promesso a Bruxelles il supporto olandese all’Ucraina. La crisi olandese è un sintomo del malessere europeo, dove i sovranisti sembrano muoversi come una rete per cambiare l’agenda dell’Unione. I Paesi Bassi, quinta economia dell’Unione, sono una pedina fondamentale per gli equilibri europei e della Nato, che terrà il vertice dei suoi leader all’Aia tra il 24 e il 26 giugno (sarà presente anche Trump). Cosa succederà ora? Wilders, in caso di nuove elezioni, aumenterà i voti ottenendo più potere che nel 2024, quando aveva vinto senza avere i numeri per imporsi come premier?

POLONIA
Lo scossone olandese si inserisce quindi in un contesto più ampio. Migranti e diritto d’asilo, Palestina-Israele, Russia-Ucraina sono i terreni di scontro dell’Internazionale trumpiana in Europa. Se Wilders è The Dutch Trump, il neo eletto presidente della Polonia Karol Nawrocki è stato persino ospite del presidente degli Stati Uniti, con la ’ministra dell’Immigrazione’ Usa Kristi Noem (famosa per le foto davanti ai detenuti in El Salvador) che lo ha definito “un leader forte come Trump”. Il primo ministro polacco Donald Tusk, filo Ue, dovrà coabitare con Nawrocki (come ha fatto con il suo predecessore Duda, conservatore di destra). In Polonia il presidente ha il diritto di veto e questo potrà impedire a Tusk di portare a termine le riforme sui diritti civili che l’Europa chiede per sbloccare i fondi alla Polonia. Ma si temono anche ripercussioni sulla politica estera e sulle posizioni nella Ue. Nawrocki ha già detto che vuole bloccare l’eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato. Intanto l’11 giugno è fissato il voto di fiducia chiesto da Tusk, che tenta di consolidare il sostegno alla sua coalizione centrista.
UNGHERIA E SLOVACCHIA
Il neo presidente polacco ha raccolto subito il sostegno del leader ungherese Orban e del premier slovacco Fico, entrambi concordi nel voler cambiare la politica europea nei confronti della Russia. Fico, per dire, era presente a Mosca in occasione della parata militare dell’9 maggio ed era stato da Putin in dicembre per discutere del gas. Orban in veste di presidente di turno dell’Unione, la scorsa estate era volato a Mosca per incotrare lo zar. Entrambi vedono in Trump la svolta per scardinare l’attuale Ue.
IL FRONTE TEDESCO
L’ondata populista-trumpiana ha toccato anche la Germania. Il governo Merz (Cdu-Csu e socialdemocratici) ha fermato la presa del potere dell’Afd sostenuta da Elon Musk. L’Afd estende però la sua rete. La sua leader Alice Weidel, non resta ferma: il 30 maggio è andata a Budapest a una conferenza di sovranisti dove ha definito Orban “un faro di libertà”.
TRA ROMANIA E BULGARIA
Il fantasma del sovranismo ha sconvolto la politica interna della Romania. Prima lo stop alle elezioni presidenziali per l’inquinamento della propaganda russa, poi il voto due settimane fa con la vittoria del centrista filo Ue, Nicusor Dan, che per un soffio ha battuto il nazionalista George Simion. Vittoria che però va consolidata altrimenti la frattura interna e l’ondata anti Ue crescerà in un Paese che deve fare i conti con la vicina Moldavia, vaso di coccio nello scacchiere, spaccata fra filo europeisti e filo russi. Infine attenzione alla Bulgaria, il paese più povero della Ue. Nel 2026 potrebbe adottare l’euro ma la scelta è osteggiata dal partito ultranazionalista Resurrezione (per ora terza forza politica) che nei giorni scorsi ha portato migliaia di persone nelle piazze di Sofia e altre città per protestare contro l’addio al lev. Anche l’Afd era nata come partito anti euro. Da lì alla formazione di uno tsunami contro Bruxelles, il passo è brevissimo.