
Il primo ministro thailandese Paetongtarn Shinawatra (Ansa)
Roma, 16 aprile 2025 – Era ora. Finalmente, anche la Thailandia ha compiuto un passo avanti importante nella tutela dei diritti dei bambini approvando un emendamento al Codice Civile e Commerciale che vieta le punizioni corporali e psicologiche sui minori. Ma non sarà così facile. Ecco perché.
Oltre la metà dei bambini thailandesi ha subito violenze
I numeri, purtroppo, non mentono. Secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica scattano un’istantanea agghiacciante: il 54% dei bambini thailandesi sotto i 14 anni è stato vittima di punizioni fisiche o psicologiche in casa. Certo, c’è stato un calo rispetto al 75% registrato nel 2005, ma si tratta di un dato ancora troppo alto secondo l’UNICEF che, da anni, chiede l’eliminazione totale del fenomeno. Una questione che non riguarda solo il sud est asiatico ma che, purtroppo, è una piaga anche dalle nostre parti.
La nuova legge contro i maltrattamenti
Il Senato ha approvato all'unanimità la modifica alla sezione 1567 del codice, che ridefinisce i limiti dell'autorità genitoriale in materia disciplinare. La riforma, entrata in vigore il 24 marzo scorso, stabilisce che i genitori e i tutori possono correggere il comportamento dei figli, ma senza ricorrere a violenze fisiche o psicologiche. In particolare, la legge vieta espressamente qualsiasi punizione che comporti abuso, danno fisico o mentale, o che comprometta la dignità umana del bambino. Il provvedimento segna un importante allineamento con la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 1990.
Ma la strada da percorrere è ancora lunga
Per Unicef questa nuova legge è "un modello da seguire" per garantire una tutela effettiva dei più giovani da ogni forma di violenza e sfruttamento. Ma non basta: bisogna affiancare la normativa con campagne di sensibilizzazione e programmi educativi, in particolare nei contesti familiari dove l’uso della forza come metodo educativo resta ancora diffuso. E non sono poche. Già, perché in Thailandia, l’idea tradizionale di famiglia, in cui spesso si tende a giustificare l’autorità genitoriale anche attraverso la violenza, è ancora profondamente radicata.