La superbomba anti bunker lanciata dagli aerei B2 americani contro tre siti di ricerca nucleare non ha chiuso la pratica Iran. Si fermano, pare, gli Stati Uniti ma lo scenario di guerra appare ancora lungo, o quantomeno con tempi incerti. Lo ha fatto capire il premier israeliano. Anche perché il programma nucleare di Teheran non è del tutto annientato. Pare addirittura che parte del materiale sia stato evacuato dal sito di Fordow, considerato il bersaglio grosso dagli Usa.
Netanyahu: “Con l’aiuto di Trump siamo vicini ai nostri obiettivi”
"Non ci lasceremo trascinare in una guerra di logoramento, ma non termineremo nemmeno questa storica operazione prima di aver raggiunto tutti i nostri obiettivi". E' quanto ha ribadito il premier israeliano Benjamin Netanyahu in una conferenza stampa. "Quando avremo raggiunto i nostri obiettivi in Iran, non continueremo le attività oltre il necessario, ma non le concluderemo nemmeno troppo presto - ha assicurato - Abbiamo già ottenuto molto e ora, con l'aiuto del presidente Donald Trump, ci siamo avvicinati ancora di più al raggiungimento dei nostri obiettivi. Trump e io siamo determinati a rimuovere la minaccia". Parole chiare. La guerra per ora continua, fino in fondo.

Le due alternative dell’Iran
Di fronte all’attacco statunitense, l’Iran ora potrebbe scegliere due strade secondo quanto scrive Luigi Toninelli, analista dell'Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale. "La mediazione diplomatica, guidata da settori conservatori pragmatici e riformisti , o la resistenza armata, con l’obiettivo di logorare Washington in un conflitto prolungato. In quest’ultimo caso, prima di arrivare a una possibile capitolazione o a una risoluzione politica al termine di una lunga guerra di usura, Teheran disporrebbe di alcune carte da giocare.

L’Iran potrebbe infliggere gravi perdite tra i soldati americani nella regione – con le basi in Iraq come primo e più semplice bersaglio da colpire – e causare importanti conseguenze economiche che minerebbero gli impegni politici intrapresi da Donald Trump. Un’escalation militare, soprattutto se accompagnata dal blocco dello stretto di Hormuz da parte di Teheran, un passaggio strategico per il transito di circa il 20% del commercio mondiale di petrolio, farebbe schizzare alle stelle i prezzi di greggio e gas naturale alimentando una nuova ondata inflattiva anche negli Stati Uniti".
Le sorti dello stretto di Hormuz
La situazione è comunque fluida e in divenire e il mondo attende preoccupato le mosse dell'Iran, già fortemente indebolito nella dotazione militare ma ancora in grado lanciare missili balistici che stanno bucando continuamente lo scudo stellare di Tel Aviv. Se, come annunciato, Teheran chiuderà lo stretto di Hormuz, dove passa un quinto del petrolio greggio mondiale, c'è il rischio di una ulteriore escalation del conflitto. Gli Stati Uniti hanno fatto arrivare in zona diverse navi militari e altri bombardieri B2 che trasportano le super bombe capaci di perforare montagne e sottosuolo fino a 60 metri. Le prossime ore saranno cruciali per capire che piega prende quest'ultimo capitolo di guerra.
Altri scenari: l’attacco alle basi Usa e il terrorismo islamico
Altro aspetto che potrebbe scatenare la reazione americana sarebbe un attacco alle basi a stelle e strisce dislocate nei Paesi dell'area: Bahrein, Egitto, Iraq, Giordania, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. In tutti questi assetti militari l'allarme è stato alzato al massimo livello. Un altro pericolo concreto è il terrorismo islamico. Teheran, che ha annunciato reazioni forti all'Operazione Martello di mezzanotte degli Usa potrebbe scatenare attentati anche nei Paesi europei contro obiettivi americani e israeliani. Ambienti del governo hanno spiegato che l'allarme verso obiettivi sensibili è stato alzato anche in Italia. Tel Aviv comunque non ha alcuna intenzione di lasciare l'operazione speciale a metà del guado.
Il “regime change”
Spiega Ferdinando Nelli Feroci, già ambasciatore, oggi analista e presidente del consiglio scientifico dell'Istituto affari internazionali: "Israele ha tre obiettivi verso Teheran. Fermare il programma nucleare, ridurre la capacità offensiva degli armamenti e ottenere un ‘regime change’”. Il cambio di regime con l'espulsione della Guida suprema Khamenei per ora è negato dagli attori in campo ma è un obiettivo sul quale punta veramente la Stella di David. Un'opzione realistica. E dopo? E' questo l'interrogativo sospeso a mezz'aria. Si è visto come è finita in Iraq, Libia e in parte in Siria dove la neutralizzazione dei dittatori ha gettato i Paesi interessati in un caos quasi peggiore. E' la grande incognita che grava sull'Iran mentre continuano gli scambi incrociati di bombe, razzi e missili con gli israeliani.