Giovedì 25 Aprile 2024

Sudan, da venditore di cammelli a presidente. La sanguinosa ascesa di Hemeti

Mohamed Hamdan è il capo di Stato de facto. Le sue milizie, già attive nel conflitto del Darfur, controllano la capitale. Stupri e stragi per reprimere il dissenso

Mohamed Hamdan (Ansa)

Mohamed Hamdan (Ansa)

Khartoum, 17 giugno 2019. L'uomo più potente del Sudan, il presidente de facto, fino a poco tempo fa era un venditore di cammelli. Se non ci fossero di mezzo accuse di genocidi e stupri di massa, la storia di Mohamed Hamdan sembrerebbe quasi una barzelletta. Una trama perfetta per una commedia brillante. Purtroppo però nell'ascesa del tenente generale c'è davvero poco di cui ridere. La carriera di Hemeti, questo il suo soprannome, inizia quando, ancora adolescente, lascia la scuola elementare per dedicarsi al commercio dei più famosi quadrupedi africani. Li vende ovunque tra Libia ed Egitto. Quando nel 2003 scoppia il conflitto del Darfur, Hamdan diventa un 'janjaweed amir', un signore della guerra. Per giustificare l'alleanza con il governo sudanese, sparge la voce che i ribelli avrebbero attaccato una carovana di venditori di cammelli, uccidendo 75 uomini e rubando 3.000 animali. “Una cifra - scrive Jérome Tubiana su Foreign Policy - ridicola rispetto alle azioni brutali di cui si macchierà. Nel 2006 ha guidato blitz armati nel Nord Darfur. Era a capo di un centinaio di uomini. Si divertivano a investire chi non era arabo con i pickup e violentavano le donne in nome della jihad”.

La fedeltà a Omar al-Bashir, il presidente del Sudan, alla fine paga. Hemeti diventa il capo delle Forze di supporto rapide (Rsf), un gruppo paramilitare incaricato di riprendere il comando dei janjaweed nel Darfur. La situazione però sfugge di mano e Hamdan comincia ad accumulare potere e risorse, saccheggiando e devastando le aree che avrebbe dovuto tenere sotto controllo. Le sue milizie vengono richiamate a Khartoum, dove cominciano a dettare legge. Ci sono anche loro nel massacro del settembre 2013, quando vengono brutalmente uccisi 200 manifestanti. In poco tempo gli uomini di Hemeti diventano i pretoriani di Bashir. Mohamed è il braccio armato del presidente e comincia a gestire sempre più dossier. Anche quello della migrazione è a suo appannaggio.

Nel 2016 l'Europa decide di iniziare a cooperare con il Sudan per fermare i flussi di profughi. Le Rsf si mettono in moto per intercettare aspiranti rifugiati in tutto il Corno d'Africa che si dirigono verso la Libia. Chi viene catturato viene mostrato in tv. Il messaggio è diretto alla Ue: “Siamo noi gli uomini giusti per fare questo lavoro”. Ma c'è il trucco. “Appena si spegnevano i riflettori – racconta Tubiana – quei migranti venivano subito rivenduti ai trafficanti libici”.

Nel frattempo a Khartoum cresce lo scontento nei confronti di Bashir. Quando la pressione diventa troppa, Hemeti scarica il presidente-mentore e diventa di fatto il nuovo leader del Sudan. Nessuno, se vuole ottenere qualcosa dallo Stato africano, corre a stringere la mano al capo del consiglio militare di transizione, il semisconosciuto Abdel Fattah al-Burhan (tra l'altro scelto proprio da Mohamed). Ambasciatori e imprenditori si rivolgono direttamente a Hemeti, che in teoria sarebbe il suo vice. Con quindicimila uomini asserragliati nella capitale e altri 35mila fedelissimi sparsi su tutta la nazione il suo controllo sul Paese è assoluto. Autorità che viene esercitata senza andare troppo per il sottile. Secondo il New York Times, alcuni dei cadaveri dei manifestanti uccisi a Khartoum nei giorni scorsi – si parla di almeno 118 vittime - sarebbero stati gettati nel Nilo. I sudanesi, dopo aver cacciato Bashir, volevano nuove e libere elezioni. Una transizione non gradita ai generali. Hamdan ha così approfittato della situazione di stallo per iniziare a reprimere nel sangue il dissenso. “Per anni Hemeti ha ammazzato e devastato il Darfur. Ora – commenta sconsolata Alaa Salah, figura chiave dei cortei anti regime – il Darfur è arrivato a Khartoum”. Nel suo ufficio, circondato da spade dorate, servitù e medaglie al valore, Hamdan tenta di giustificarsi. “I manifestanti ci stavano provocando. Ci mostravano i loro attributi. Se non fossi al comando – ha detto al New York Times in una rara intervista a un media occidentale – la nazione sarebbe perduta”. La parlantina da venditore di cammelli, evidentemente, non è andata persa.