Su TikTok è guerra aperta. E Twitter può aiutare Trump

Il presidente Usa vuole costringere i cinesi a vendere il social, l’ira di Pechino. Dopo Microsoft anche il gigante dei ‘cinguettii’ si fa avanti per comprarlo

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L’ultimatum scadrà verso la fine di settembre. Trump lo ha lanciato all’improvviso giovedì scorso firmando un ordine presidenziale nel quale sostiene che i due colossi dei social di proprietà cinese, TikTok e We Chat, che contano diversi milioni di utenti in Usa, non possono più operare sul mercato americano se non diventeranno entro 45 giorni di proprietà di qualche società statunitense. Il presidente pretende anche che in caso di vendita a beneficiarne siano pure le casse del Tesoro.

Se non un ricatto o una minaccia alla libertà di mercato, quella di Trump viene vista come una pesante precondizione per ogni trattativa. Microsoft, ma adesso anche Twitter (con cifre che vanno dai 50 ai 100 miliardi di dollari) sono interessate a inglobare le due compagnie nel mirino, ma non a qualsiasi costo. Il governo cinese accusa Trump di ingerenza nei negoziati ma pure di violazione delle regole sul libero mercato. Dopo quella commerciale, potrebbe scattare adesso anche una guerra legale. Secondo alcune fonti Usa, TikTok sarebbe pronta a trascinare il presidente in tribunale, per una causa dagli esiti imprevedibili.

Il mondo della tecnologia sembra a una svolta. Invece di coordinarsi sotto un ombrello globale, rischia di diventare bipolare, con un imprevedibile contraccolpo negli equilibri tecnologici mondiali. In altre parole, se una volta era l’America a difendere la libertà e i vantaggi della rete, assicurando regole uguali per tutti, adesso è Trump a seguire Xi e Putin nello stabilire una sorta di controllo domestico.

Il conglomerato cinese Byte Dance, che possiede TikTok, molto usata per lo scambio di video tra i giovani, per non compromettere la sua valutazione di mercato si è già detto pronto a cedere tutto il ramo americano a un nuovo soggetto Usa gradito alla Casa Bianca. Vuole togliere dalla società il bollo di "minaccia alla sicurezza nazionale americana", che Trump le ha affibbiato col sospetto di facilitare attività di spionaggio attraverso la raccolta dei dati.

Tencent, proprietaria di We Chat, diffusissimo in Cina come portale per i pagamenti istantanei, per ora sta a guardare. Il suo quartier generale al centro di Pechino è una sorta di campus avveniristico, modello Apple, tutto vetrocemento e riconoscimenti facciali. Ci lavorano migliaia di giovani scienziati, ingegneri e talenti del web, figli e nipoti dell’alta nomenclatura del partito comunista, tutti ultralaureati all’estero, superpagati e con una età media al di sotto dei 32 anni.

Siccome con We Chat gli utenti continuano a crescere in modo esponenziale, i dirigenti di Tencent non hanno alcuna intenzione di andare allo scontro con gli Usa e si dicono pronti a trovare una soluzione per rimanere tra i protagonisti globali senza doversi confrontare col veto degli americani.

Colpire questi due colossi, dopo averlo già fatto con Huawei, sta diventando la nuova strategia anti-cinese di Trump in vista del voto di Novembre. E il presidente cerca adesso di risalire nei sondaggi, accusando addirittura Joe Biden di essere filo-Pechino.