In quella stazione ho visto l’orrore. Brandelli di vita e di cadaveri

Kramatorsk, missili di Mosca piovono su donne e bambini innocenti: cinquanta vittime, decine di feriti In terra i corpi tra valigie, pupazzi e borse della spesa. I racconti: il razzo ha fatto a pezzi un soldato vicino a me

Il cadavere di una giovane vittima dell’attentato alla stazione di Kramatorsk

Il cadavere di una giovane vittima dell’attentato alla stazione di Kramatorsk

Kramatorsk - Peserà a stento trenta chili ma ci vogliono tre persone per infilarla nel sacco nero. I militari esitano un attimo, non sanno come prenderla. Fanno un respiro, uno guarda dall’altra parte. Alla cintola ha una pistola, sembra un duro, ma non ce la fa. Era una bambina, il suo corpo esile è steso tra decine di cadaveri di adulti. In quel punto, accanto all’ingresso est, ne contiamo nove, ma in totale saranno cinquanta. Qualcuno li ha trascinati lì in un angolo in attesa del furgone che li porterà via, altri hanno tagliato una grossa tela cerata per coprirli. Spuntano piedi, mani. Una donna ha il pugno chiuso, è morta stringendo le chiavi di casa. Era in stazione per scappare ma è finita lì per terra con le chiavi di una casa che chissà quando avrebbe rivisto.

L’Ucraina è una grande roulette, se esce il tuo numero non vinci, muori. Ieri, alla stazione di Kramatorsk, è uscito il suo. Era in mezzo ad altre 4mila persone che cercavano di andarsene da lì dopo aver ricevuto l’ordine di evacuazione dal governatore della regione di Donetsk, Pavlo Kyrylenko, per il rischio di bombardamenti russi. Non hanno fatto in tempo. Ieri un razzo Tochka-U del peso di oltre due tonnellate si è abbattuto nel piazzale pieno, depositando un pezzo della sua carcassa nei giardinetti antistanti all’ingresso. Sul fianco, accanto al numero di serie 9M79-1 c’era una scritta con spray bianco, in caratteri cirillici: ’Per i bambini’. Quel messaggio ha due possibili spiegazioni. Che il razzo avesse l’obiettivo di fare vittime civili, tra cui bambini, oppure che fosse uno strumento di vendetta per i bambini russi uccisi dagli attacchi ucraini in questi otto anni di guerra.

L’altro punto importante da chiarire riguarda la traiettoria. Nel punto di impatto manca un grande cratere, l’impressione è che il missile sia caduto, non che si sia abbattuto di testa. Anche questo apre a due scenari. Il razzo sparato dai russi potrebbe essere stato intercettato dalla contraerea ucraina finendo per colpire i civili in attesa, come accaduto nelle settimane scorse (con esiti meno drammatici) in molte città ucraine, tra cui la capitale Kiev. Più probabile, però, che il Tochka-U abbia scaricato bombe a grappolo, un sistema molto impreciso ma devastante.

Chi era in stazione non ne sapeva niente di missili, ne aveva solo paura. "Ho sentito un rumore terribile, il sangue di un militare mi è schizzato sulla faccia, quando ho riaperto gli occhi era a terra, a brandelli. Mi sono inginocchiata e ho perso i sensi. Mi sono svegliata qui". Irina parla a singhiozzi, piange e trema. È ferita ma soprattutto sotto choc. La incontriamo in una delle stanze dell’ospedale a pochi chilometri di distanza, il viavai è infinito, non c’è più posto per tutti. I medici devono operare sulle barelle. "Volevo lasc iare Kramatorsk per andare a ovest, al sicuro, ma non fuori dall’Ucraina, voglio restare nel mio Paese", continua Irina, che ha 24 anni ma sulla faccia ha il numero 16 che le è stato scritto dagli infermieri per tenere il conto dei ricoveri. Mentre parla, un uomo sdraiato nel letto di fronte, muore davanti ai nostri occhi. I medici provano due volte a rianimarlo ma poi staccano la flebo, sospirano, guardano l’orologio per segnare l’ora del decesso e vanno al letto accanto. Hanno sangue fino al gomito ma non c’è tempo per pulirsi.

Un minuto dopo una donna col volto completamente tumefatto e intubata, ha uno spasmo. Corrono da lei ma niente, se ne va con le lacrime di una ragazzina in sottofondo. È sul letto vicino, le sue condizioni non sono gravi ma è disperata. La madre le tiene la mano tentando di calmarla ma come può? Entra una bambina, la fanno sedere accanto alla mamma che riesce a stento a riconoscerla. Non capiamo se sia un gesto di misericordia nei confronti della donna o della figlia. C’è un caos infernale, ma in questo momento nessuno parla, ci vuole troppo coraggio anche per chi combatte ogni giorno con la morte. Usciamo anche noi, codardi di fronte a quello che sembra un ultimo saluto. Torniamo alla stazione, all’ingresso lo scheletro di tre auto divorate dalle fiamme. A terra c’è un cappellino annerito alla fine di una lunga scia di sangue che parte dalle scale. Segna un arco ampio, qualcuno è stato trascinato con precisione geometrica. Facciamo l’errore di poggiare la mano sulla balaustra, scoprendo così che c’è ancora sangue fresco.

Suona la sirena antiaereo, i militari corrono dentro la stazione per ripararsi, calpestano le macchie rosse e i pezzi di vetro delle finestre esplose, c’è un crepitio che rimbomba nella sala vuota. I Kalashnikov oscillano ai lati del corpo. Per venti minuti temono davvero che arrivi un secondo razzo ma quando torna il silenzio riprendono i rilievi e la catalogazione degli oggetti. La banchina è la fotografia più straziante. Una montagna di bagagli abbandonati, ricoperti di sangue di chissà chi. Ognuno apparteneva a u na persona, lì in mezzo ci sono pezzi di vita e pezzi di altro.

C’è il bastone da passeggio di un anziano, un peluche intriso di rosso, scarpe, tutte singole. Cose semplici, come semplici erano gli oggetti che gli ucraini tentavano di portare via in bagagli ordinari e leggeri, perché per vivere serve molto ma per scappare basta poco. Nell’angolo un cagnolino travolto dalle schegge, sacchetti della spesa da cui spunta frutta, una confezione di uova rimasta miracolosamente intatta. Persone a brandelli e uova integre. Questo Paese è una roulette.

La scritta sul missile e i buchi della versione russa

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