Per la guerra in Ucraina, nel XXI secolo, si usano parole antiche, quelle del Novecento. Denazificazione, da parte russa, deportazione da parte degli ucraini che evocano anche Stalingrado per esaltare la resistenza di Mariupol. Un vecchio vocabolario per comprendere il presente. Non importa che i paragoni evocati siano esagerati, o non reggano. Quando parli fai capire dove sei nato, nelle grandi città, a Londra, Parigi, Milano o Roma, persino in che quartiere sei cresciuto. Le parole cambiano di generazione in generazione, Mussolini non avrebbe mai definito massa un popolo. I millenians, come vengono definiti i ragazzi nati dopo il Duemila, fanno fatica a comprendere lo slang dei giovani del ’68, i loro padri e nonni. Dopo settimane di resistenza nella acciaieria di Mariupol, si arrendono i combattenti del battaglione Azov, che per i russi sono nazisti, come emblema hanno una svastica stilizzata. Putin giustifica l’invasione come un attacco all’Ucraina nazista, vuole denazificare il paese, ma non ci crede neanche lui. Dopo la sconfitta del III Reich, gli alleati cominciarono in Germania un processo di denazificazione, i tedeschi complici del regime, piccole o gravi fossero le loro colpe, vennero epurati. Un intero popolo fu chiamato a discolparsi. Naturalmente, quando convenne, sia russi, sia gli occidentali chiusero un occhio. Durante la guerra, una divisione di SS ucraine combattè contro i sovietici. Ma Stalin negli Anni Trenta aveva sterminato milioni di contadini ucraini. Stepan Bandera, leader nazista durante la guerra, per alcuni è ancora un eroe nazionale. Ma i nostalgici sono ovunque, in Germania, in Francia, anche da noi. Il battaglione russo composto da ex detenuti e terroristi, si chiama Wagner, in ricordo del compositore amato da Hitler. Non si dovrebbe ricordare che Zelensky è ebreo (gli ebrei in Ucraina erano 2,8 milioni nel 1939 oggi sono circa 45mila). Gli abitanti di Mariupol ...
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