Scacco a Putin, il Cremlino trema. La resa dei conti parte da Shoigu

Il ministro della Difesa verso le dimissioni. Mistero sul ruolo degli 007 nell’attacco, militari in manette a Mosca

Putin su un treno che attraversa il ponte di Kerch durante l’inaugurazione del 2019

Putin su un treno che attraversa il ponte di Kerch durante l’inaugurazione del 2019

Mosca, 9 ottobre 2022 - Mosca si sente insicura. Così insicura che non sa nemmeno più a chi dare la colpa. Da quando, ieri mattina, tutti i principali media e social sono stati invasi da immagini e video del ponte distrutto, nel Paese non si parla d’altro. Tutti i tentativi del Cremlino di ridimensionare la notizia sono falliti. Ed era inevitabile. La struttura aveva un grande valore simbolico e strategico. Costruita, a tempo di record, a partire dal 2014, era stata inaugurata da Putin in persona. Nella testa del capo del Cremlino, quello era come un cordone ombelicale che legava la Crimea alla Russia per sempre.

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Invece, non solo il cordone si è rotto, rischia di trascinare giù nelle acque del Mar Nero anche la fiducia dei russi nelle istituzioni, già messa a dura prova da un’operazione militare speciale dagli esiti oltremodo deludenti e una mobilitazione parziale dove, fino a questo momento, coloro che hanno lasciato il Paese sono più del doppio di quelli arruolati.

Nella mattina di ieri, fonti vicini alle forze armate, hanno lasciato intendere che cinque regioni sul confine con l’Ucraina, nello specifico Bryansk, Belgorod, Kursk, Voronezh e Rostov sul Don, sono a rischio di attacco terroristico. Si tratta anche di alcuni fra i territori più produttivi della Russia, gli ultimi insomma, dove assistere a un esodo di massa.

Gli analisti russi concordano nell’affermare che l’obiettivo numero uno dell’attacco al ponte è proprio Vladimir Putin. È stata valicata una sorta di linea rossa dopo la quale il presidente non può non reagire. Proprio su molti canali Telegram russi a favore della guerra, ieri, in molti si chiedevano proprio perché l’Ucraina non fosse stata schiacciata e che cosa si dovesse aspettare prima di reagire con forza. Ma non è finita qui. La dinamica dell’attentato non è ancora chiara.

Ufficialmente c’è il camion esploso, ma secondo altre ricostruzioni il ponte potrebbe essere stato minato in più punti. Vi è poi il consueto rimpallo di responsabilità su chi sia stato. La stampa statunitense punta il dito contro i servizi ucraini. Kiev, dal canto suo, ha dato la colpa proprio ai russi. L’attacco al ponte sarebbe il risultato di un conflitto interno che vede da una parte i servizi segreti, dall’altra il ministero della Difesa e le forze Armate di Mosca.

L’aria è quella del repulisti che, secondo canali Telegram legati alla Wagner, potrebbe iniziare dal ministro della Difesa, Sergeij Shoigu, in persona, che nei prossimi giorni potrebbe dimettersi, con Putin che perderebbe la persona che gli è più fedele (e debitrice). A rischio anche il capo di Stato maggiore, Valerij Gerasimov. Va poi registrato che ieri, secondo media ucraini, a Mosca le unità d’élite della guardia russa, che risponde direttamente al Capo di Stato, hanno arrestato alcuni militari. Questo apre la strada a diversi scenari.

Non solo l’affondo di Kiev alla Russia, ma, forse, anche un atto per costringere il presidente ad alzare il livello del conflitto. La risposta potrà darcela solo Putin con la sua reazione. Se non sarà muscolare come alcuni pensano, allora è possibile che il problema, in realtà sia dentro i confini nazionali.