Martedì 23 Aprile 2024

Russiagate, prime incriminazioni. "Interferenze per favorire Trump"

Il presidente Usa: "Nessuna collusione". Ma dagli uffici del procuratore Robert Mueller: "Indagini vanno avanti"

Il presidente americano Donald Trump (Ansa)

Il presidente americano Donald Trump (Ansa)

Washington, 16 febbraio 2018 - L'inchiesta del Russiagate giunge a una svolta. Per la prima volta sono stati emessi capi di accusa contro ambienti legati al Cremlino che - secondo gli investigatori - hanno interferito sulle elezioni presidenziali Usa del 2016. A comunicarlo è stato il procuratore speciale Robert Mueller, che ha messo a punto un provvedimento in cui vengono incriminati 13 cittadini russi e tre enti legati a Mosca accusate di aver cospirato a favore dell'allora candidato repubblicano, Donald Trump, ai danni della democratica Hillary Clinton.

La reazione di Donald Trump non si è fatta attendere: "Nessuna collusione", ha twittato il presidente già in viaggio verso la Florida per il lungo weekend del Presidential Day. "Non possiamo permettere a quelli che seminano confusione, discordia e rancore di vincere", ha aggiunto su una nota diffusa dalla Casa Bianca, affermando che "è tempo di fermare gli attacchi di parte, le false accuse e le teorie inverosimili, che hanno il solo scopo di favorire i propositi di cattivi attori e di non fare nulla per proteggere la nostra democrazia". 

Dagli uffici del procuratore però è trapelata una secca risposta: le indagini per accertare se ci sia da parte di Trump o dei suoi uomini collusione o ostruzione della giustizia vanno avanti. E - sottolineano fonti investigative - andranno avanti per mesi. Dunque, i primi atti di incriminazione verso soggetti russi sarebbero solo la punta di un iceberg. 

Intanto dalle carte degli inquirenti emerge il ruolo di della società di San Pietroburgo, 'Internet Research Agency' (Ira), la 'troll factory', che, secondo Mueller, cominciò a lavorare già nel 2014 per interferire nelle elezioni statunitensi, usando account falsi sui social media. E dietro la 'Ira' c'è l'oligarca Yevgeny Prigozhin, amico dai primi anni '90 di Vladimir Putin, e per l'appunto soprannominato lo 'chef di Putin' in quanto la sua catena di ristoranti vede spesso ospite il presidente russo e dignitari stranieri. Prigozhin era peraltro già sotto sanzioni Usa dal dicembre 2016 per aver sostenuto finanziariamente l'invasione russa dell'Ucraina nel 2014.

Dall'atto di accusa di Mueller contro i russi emerge un particolare inquietante per il presidente: come ricorda la Cnn, alcuni membri dello staff di Trump hanno ritwittato - inconsapevoli dell'origine criminale del cinguettio creato dalla 'troll factory' russa, fabbrica di falsi profili sui social media - i messaggi tesi ad alterare l'esito del voto. Il vice ministro della Giustizia, Rod Rosenstein, che coordina l'inchiesta, si è affrettato a sottolineare che non sono stati trovati elementi per poter affermare che cittadini "americani abbiano consapevolmente" partecipato al complotto. 

E' sull'avverbio "consapevolmente" che si gioca molto. Cnn rammenta, tra l'altro, che sia il figlio del presidente, Donald Trump Jr., che la stretta consigliera di Trump in campagna elettorale ed ora alla Casa Bianca, Kellyanne Conway, abbiano ritwittato messaggi del falso account creato dai russi per simulare che fosse quello ufficiale dei repubblicani del Tennessee. L'obiettivo riuscito fu far credere ai follower che stessero seguendo realmente il loro partito. L'account ha avuto durante la campagna fino a 100.000 followers. 

Il Cremlino, dal canto suo, ha bollato come "un'assurdità" le incriminazioni. "Tredici persone si sarebbero ingerite nelle elezioni americane?! Tredici contro il bilancio miliardario dei servizi segreti? Contro lo spionaggio e il controspionaggio? Contro le nuovissime elaborazioni e tecnologie... assurdità? Sì, ma questa è l'odierna realtà politica americana", ha scritto la portavoce della diplomazia russa Maria Zakharova su Facebook.