Giovedì 25 Aprile 2024

Russiagate, lo 'chef di Putin' che cucina le fake news anti Usa

Ecco come ha agito la macchina della controinformazione che, secondo le accuse del procuratore Mueller, avrebbe influenzato le elezioni Usa che hanno portato Trump alla Casa Bianca

Evgeny Prigozhin e Vladimir Putin

Evgeny Prigozhin e Vladimir Putin

New York, 20 febbraio 2018 - Lo 'chef di Putin' non sa cucinare ma è un maestro della controinformazione. Yevgeny Prigozhin, 56 anni, dopo i ristoranti di lusso per gli oligarchi russi e i capi di stato è diventato l’architetto di una sofisticata rete internet che attacca gli Usa e finisce nella lista nera degli americani, insieme ad altri 12 complici per aver tentato di alterare le elezioni del 2016. Questa più che una storia di spionaggio e manipolazione digitale del Cremlino contro la Casa Bianca nella post guerra fredda, sembra la sceneggiatura di un film di cui gli Usa non hanno ancora visto la fine.  

Prigozhin era avviato a diventare un campione di sci di fondo, ma il fondo lo ha toccato con una condanna a 12 anni per rapina e frode della quale ne ha scontati 9 in carcere. La sua fortuna inizia dopo la prigione con gli hot dogs, passa per le catene dei supermercati a San Pietroburgo dove investe soldi di amici misteriosi, si espande ai ristoranti esclusivi da centinaia di dollari a persona dove Putin porta i capi di stato in visita e si presenta per celebrare il compleanno.

'Yevgeny lo chef', anche se non mai fritto due uova, è sempre al fianco del leader del Cremlino. Diventa un confidente fidato che risolve i problemi senza fare domande. Dal governo russo in meno di 5 anni ha ricevuto 3,1 miliardi di dollari in appalti che includono anche il reclutamento di soldati russi da spedire sui fronti esteri. Ma il Cremlino lo ripaga ufficialmente col catering di costosissime cerimonie ufficiali e, quando nel 2013 nasce Internet Research Agency, una sorta di centro infomatico per creare notizie alternative e filo governative, lui ne è il fondatore e finanziatore con agenzie di comodo, mentre San Pietroburgo diventa la capitale dell’offensiva digitale russa nel mondo. Se prima il bersaglio è l’Ucraina, nel 2014 l'attenzione si sposta sugli Stati Uniti di Obama che non vogliono schiacciare il bottone del 'reset' dopo l’annessione della Crimea da parte di Putin.

In una elegante palazzina di uffici non lontana dalle rive della Neva, con un grande stanzone simile a una News Room, 'lo chef di Putin' organizza la sua intera operazione anti-Usa finanziando una vera e propria 'information warfare', una guerra totale delle informazioni senza sparare un colpo.

L’invenzione diabolica è il cosiddetto 'dipartimento traduttori'. Ne vengono selezionati più di 80. Li pagano 1.400 dollari a settimana. Cinque volte di più di un medio salario in qualsiasi ministero russo. Vengono assunti con una breve intervista ma solo dopo una più severa prova d’inglese. A una condizione: massimo riserbo sulla loro attività. Nessuno però fin dal primo momento si è mai illuso di fare il giornalista o il blogger in un’altra lingua. Venivano solo incoraggiati a esprimere commenti anti-americani e a sentirsi patrioti. L’unico requisito per ottenere il posto era sapere cosa significa la 'Dulles Doctrine', il sofisticato strumento inventato dal direttore della Cia negli anni '70, Allen Dulles, che sperava di avvantaggiarsi nella guerra fredda distruggendo pezzo dopo pezzo con messaggi e articoli i valori culturali della Nazione Russa. Loro avrebbero dovuto fare altrettanto attaccando le regole della democrazia americana sulla rete.  

Internet Research Agency, nota anche come Glavset si è speciliazzata nell’influenzare le opinioni politiche sia all’interno della Russia che all’estero, dall’Ucraina al Medio Oriente, dalla Siria all’America. Quello contro le elezioni Usa del 2016 con l’intento di favorire Trump e altri candidati, ma soprattutto denigrare e demolire Hillary, era diventato però il piano madre.

Da San Pietroburgo con qualche complicità anche in Usa (ancora da esplorare) i camerieri-soldati dello 'chef di Putin' aprono finti account su Google, Facebook, Twitter e Instagram. Riescono persino a reclutare una donna che impersona Hillary in un evento a West Palm Beach e a portare in piazza in Texas, New York e Florida centinaia di persone in rally pro e contro Trump. Scambiano migliaia di e-mail e messaggi ogni giorno in un continuo dialogo interattivo spacciandosi per semplici utenti Usa e attivisti politici.

Se lo 'chef di Putin' è il grande finanziatore occulto dell’intera operazione, il comandante di campo però a San Pietroburgo lo fa il colonnello Michail Bystrov, ex capo della polizia della città, mentre il giovane direttore esecutivo viene indicato nell’ingegnere tretunenne Mickhail Burchik, che ha messo a disposizione dell’Internet Research Agency e ancora prima del Cremlino, la sua piccola società di dati selezionati. Una giovane scienziata, Anna Bogacheva, invece aveva ottenuto un visto insieme a una collega per entrare in Usa e raccogliere dati sulla realtà digitale americana che sarebbe diventata in seguito il target  pre- elettorale,. Secondo l’Fbi, Sergey Polozov era l’addetto all’acquisto della pubblicità sui server all’interno degli Stati Uniti e a confezionare gli slogan pubblicitari del tipo  se voti Hillary è un voto al diavolo".

Lo 'chef di Putin' per il suo 'Translator Project' incluse le 'incursioni digitali' in territori stranieri, spendeva mediamente fino a 1,2 milioni di dollari al mese, mentre le sue finanze personali grazie agli appalti e ai servizi informativi per il governo russo sarebbero arrivati a superare il miliardo di dollari.

Il ministero della giustizia Usa è stato molto chiaro nei capi di accusa e sia mister Prigozhin che la sua 'sporca dozzina' finita nella lista nera non troveranno dogane facili se decidessero di viaggiare fuori dalla Russia, visto che contro di loro c'è un mandato di cattura internazionale siglato dall’Fbi. Tutti i servizi di intelligence americani, anche dietro i mea culpa di Facebook e Google che ammettono di aver effettuato poca vigilanza sui loro contenuti esponendo a una gigantesca disinformazione a pagamento milioni di utenti ignari, ammettono che l’attacco digitale russo continua. L’unico che non sembra valutare la gravità dello sfregio democratico è Donald Trump. Il presidente si è preoccupato soprattutto di twittare che non c'è stata collusione tra la sua campagna e i manipolatori russi, anche se lui stesso gli aveva invitati durante le primarie a rivelare le e-mail di Hillary.

Il film non è finito. L’inchiesta del procuratore speciale Mueller non è finita e sembra avvicinarsi sempre di più a Jared Kushner ,il genero del presidente che con i russi ha continuato ad avere rapporti d’affari. Ma soprattutto non ha mai ottenuto il nulla osta per poter prendere visione dei documenti top-secret della Casa Bianca che ogni giorno Cia e Fbi mettono sul tavolo del presidente. Da San Pietroburgo, intanto, nelle 'cucine blindate' della Internet Research Agency i piatti dello 'chef di Putin' per le elezioni di medio termine del 2018 sono già in avanzato stato di preparazione.