Mercoledì 24 Aprile 2024

Quella lite al telefono. Zelensky chiede, Biden sbotta: "Adesso basta, sei un ingrato"

La stampa americana rivela un episodio accaduto a giugno: conversazione tesa tra i leader

Quasi una lite tra Joe Biden e Volodymir Zelensky. Al telefono, oltre cento giorni fa. Un episodio, ma illuminante. Perché la trascrizione di quanto è avvenuto è l’anticipazione di quanto probabilmente accadrà nell’autunno di guerra che vomita bombe e bugie e fa i conti col futuro. Il 15 giugno il presidente degli Stati Uniti "alza la voce" con il leader e comandante in capo ucraino mai soddisfatto degli aiuti ricevuti. Ben quattro fonti svelano a Nbc News la piega imprevista del rituale colloquio. Biden annuncia a Zelensky un altro miliardo di dollari in aiuti militari. Zelensky neppure ringrazia e stila un elenco di tutte le armi di cui le sue forze hanno bisogno e che ancora non possiedono, rimproverando implicitamente Biden per il ritardo. Il presidente degli Stati Uniti non crede alle sue orecchie e perdendo per un attimo le staffe rimprovera Zelensky, in modo piuttosto deciso, di non "dimostrare abbastanza gratitudine" nei confronti degli Stati Uniti: principali sponsor della resistenza ucraina con l’invio di 17,6 miliardi di dollari in armamenti, senza contare gli aiuti umanitari e finanziari copiosamente erogati in un momento complesso per l’economia americana.

La telefonata si chiude con minor tensione, ma l’imbarazzo resta. E anche se i successivi colloqui a detta delle stesse fonti fanno registrare un miglioramento dei toni, complici i pubblici ringraziamenti di Zelensky, quella caduta di armonia appare rivelatrice delle tendenze in atto, dove tra una Russia contraddittoria e incattivita, e un’Ucraina resiliente ma comprensibilmente nervosa, la conta degli amici – e dei loro umori – si appresta ad impattare con forza sul conflitto. Negli Stati Uniti le elezioni di Midterm sono tra una settimana, e la reazione stizzita di Biden all’aggressività comunicativa di Zelensky rivela il timore – allora più sfumato, oggi evidente – che negli Stati Uniti il sostegno incondizionato all’Ucraina appaia progressivamente meno popolare quando non addirittura discutibile: sia in Congresso sia tra gli elettori colpiti dall’inflazione galoppante. Una crescente riluttanza che nelle urne dell’8 novembre potrebbe costare cara ai democratici.

La stessa fuga di notizie – pilotata o meno – sulla burrascosa telefonata fra i due leader prefigura una diversa narrativa in cui la crescente posta in palio dell’invasione russa in Ucraina appare suggerire una più misurata riflessione sui costi dell’alleanza e sui rischi di conflitto globale (e nucleare) paventati dalla stessa sinistra democratica. E mentre Biden si prepara a chiedere al Congresso, proprio questa settimana, l’ennesimo via libera per ulteriori aiuti a Kiev pari a 50 miliardi di dollari in armi e aiuti finanziari , il leader dei repubblicani Kevin McCarthy, destinato a diventare speaker al posto di Nancy Pelosi in caso di vittoria alle Midterm, già dichiara che Washington non firmerà più "assegni in bianco". Ovvio che Mosca osservi con attenzione le dinamiche in atto negli Stati Uniti.

L’Armata Rossa inaugura la settimana con un altro attacco violentissimo su dieci regioni ucraine, chiara rappresaglia dopo lo smacco subito a Sebastopoli (con quattro navi da guerra fatte esplodere da Kiev). Una sessantina di missili e droni sono lanciati sulle infrastrutture energetiche già gravemente danneggiate: 44 sono intercettati (in un caso le schegge finiscono in Moldavia), ma 13 raggiungono i bersagli: da Kiev a Zaporizhzhia, da Kharkiv a Mykolaiv, da Leopoli a Chernivtsi. Nella capitale il sindaco Vitali Klitschko denuncia: "L’80% dei cittadini senz’acqua, 350mila famiglie senza corrente".

Resta intanto incandescente il fronte del grano, dopo la sospensione dei corridoi di trasporto sul Mar Nero proclamata da Mosca, seguita alla denuncia, probabilmente strumentale, di un mercantile ucraino utilizzato per finalizzare il raid su Sebastopoli. Tesi respinta dall’Onu: "L’accordo resta in vigore". Ieri dai porti ucraini sono partite 12 navi ma potrebbero essere le ultime. Questo è un "ricatto collettivo" al mondo, fa sapere il Dipartimento di Stato americano. "Cibo e fame trasformati in armi", protesta l’alto rappresentante Ue Josep Borrell. Mosca alza la posta: se Kiev non smetterà di utilizzare i corridoi "per scopi militari", sarà impossibile consentire il trasporto cereali. E a dirlo non è Vladimir Putin ma il ministro della Difesa Sergey Shoigu.