Roma, 28 giugno 2025 – L’Europa, tanto per cambiare, giovedì ha scelto di non scegliere e ha rinviato la decisione su tutti i punti fondamentali. Non è la prima volta, ma ora c’è un contesto più minaccioso: l’attacco frontale dell’alleato ostile Donald Trump.
Professor Giovanni Orsina, il vero obiettivo del presidente americano è sfasciare l’Europa?
“Non la metterei proprio così – risponde il direttore del dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Luiss –, Trump ha un approccio pragmatico. Certamente ha in antipatia l’Unione, come peraltro ce l’hanno i suoi elettori. Ma non credo abbia il disegno di romperla. Va avanti come un caterpillar: se la Ue si adatta gli va bene, altrimenti ne prescinde”.
Le sue minacce non hanno spaventato Canada e Cina, che hanno costretto gli Stati Uniti a ritirate importanti sui dazi. È giusto che l’Europa accetti accordi al ribasso?
“Bisogna tener conto dei rapporti di forza. Se ti senti debole, e lo sei, puoi anche accettare un accordo al ribasso. Purtroppo, l’intreccio delle partite e la scarsa autonomia, in particolare sulla difesa, indebolisce l’Unione pure sui dazi. Un conto è trattare come soggetto unico, al pari di Canada e Cina, un conto farlo come unione di 27 Stati membri che hanno idee diverse. Non c’è dubbio che la mancata compattezza della Ue renda ancora più facile la vita a Trump”.

Cosa deve fare l’Europa per non uscire a pezzi dalla partita?
“Imparare a giocare con le nuove regole: il mondo che ha in testa Trump è basato sulla logica dei rapporti di forza, non tutto è regolato dal diritto come nel mondo da cui proviene l’Europa. Nel modello trumpiano la forza conta. A dirla in maniera semplicistica: se non ci mettiamo d’accordo non insisto, ma ti tiro un missile in testa, e poi torniamo a trattare”.
Questa crisi può agevolare un salto di qualità della Ue?
“Il salto di qualità sarebbe quello di sancire che la politica non si fa più nelle capitali europee, ma a Bruxelles. Questo però è il momento storico meno adatto per chiedere agli Stati di cedere sovranità, dato che in Europa vincono un po’ ovunque le destre sovraniste. Si può cercare di mettere pezze facendo lavorare insieme gli Stati, come è avvenuto sull’immigrazione. Si può fare la stessa cosa sui grandi temi che interessano l’Unione, senza pretendere di portare il potere a Bruxelles”.
Su molti tavoli si profila un inedito asse Meloni-Merz. Quali effetti può avere sull’Unione?
“È un asse importante tra due Paesi fondatori dell’Unione che hanno affinità in termini di struttura produttiva e di rapporti con gli Stati Uniti: sono i più filo-americani. Meloni e Merz sono pragmatici, se due europei che hanno a cuore l’alleanza transatlantica si mettono a lavorare insieme, la collaborazione ha un peso”.
Perché entrambi si oppongono a sanzioni contro Israele?
“La Germania ha sempre avuto posizioni di sostegno per Israele, per le ovvie ragioni storiche. Ma la verità è che ora questo Stato è diventato uno dei grandi discrimini tra destra e sinistra. C’è una destra che ritiene che Israele sia un pezzo d’Occidente da difendere, e una sinistra che ritiene che Israele stia violando i valori occidentali del multilateralismo e del rispetto dei diritti umani e debba perciò essere sanzionato”.
La politica italiana litiga sul peso di Meloni in Europa: conta o no?
“L’Italia ha il peso dell’Italia, con le sue fragilità. Un governo stabile, guidato da una persona che sta dimostrando di saper fare politica estera può incrementare quel peso. Ma non troppo, perché più di tanto non si può fare, non potrebbe fare nessuno”.
Quanto indebolisce l’Europa la crisi della, in realtà mai nata, maggioranza Ursula?
“Premesso che in Europa non esiste una maggioranza che dia la fiducia alla Commissione, dopo il voto del 2024 è stato confermato l’assetto della legislatura precedente, ma il vento elettorale era soffiato in altra direzione, e ora quel vento chiede il suo prezzo. Sono sicuro che quando tireremo i conti, tra quattro anni, si vedrà che in questa legislatura nelle votazioni avremo avuto una maggiore percentuale di alleanze a destra”.
Come si risolve il caso della Spagna, che si è smarcata dalle richieste della Nato sulle spese per la difesa?
“Tecnicamente non lo so, ma se si mette ai margini della Nato, è difficile che la Spagna non ne abbia a pagare un prezzo politico”.