Giovedì 25 Aprile 2024

Processo Bataclan: Parigi blindata. Il killer dell’Isis provoca i giudici

L’unico superstite del commando: "Allah è l’unico dio. Noi trattati come cani, da sei anni subisco di tutto". Venti accusati, di cui solo quattordici presenti in aula. Testimonierà anche la madre dell’italiana uccisa

Un disegno di Salah Abedslam in aula

Un disegno di Salah Abedslam in aula

"Non c’è nessun altro Dio all’infuori di Allah e Maometto è il suo messaggero". Le parole pronunciate ieri da Salah Abdeslam, unico rimasto in vita fra i terroristi del Bataclan, hanno gelato il pubblico e i magistrati della Corte d’Assise di Parigi. Il maxi processo contro i responsabili della strage che il 13 novembre 2015 fece 130 morti e centinaia di feriti si è aperto ieri pomeriggio in un clima plumbeo. Tensione, dolore. Paura che tutto possa ricominciare. I fatti, quell’incredibile attacco dell’Isis al cuore della capitale francese, sono ben vivi nella memoria di tutti. Sei anni non sono molti, lo choc non è passato. E l’attualità che rimbalza dall’Afghanistan con il ritorno dei talebani al potere è vissuta come una nuova minaccia in questo Paese odiato più di tutti gli altri dagli estremisti islamici. Venti accusati di cui solo 14 presenti in aula (gli altri sono presumibilmente morti dopo essersi rifugiati in Iraq e in Siria). E 1.800 persone che si sono costituite parte civile. Centinaia di gendarmi e poliziotti a protezione del vecchio tribunale dell’Ile de la Cité, trasformato in bunker. I luoghi che furono teatro degli eccidi – lo Stade de France, il Bataclan, i ristorantini e i bar del decimo e undicesimo arrondissement – sottoposti a sorveglianza rafforzata.

Gli imputati, provenienti da quattro carceri diverse, sono stati trasferiti in aula a bordo di blindati; hanno preso posto in un lungo box di vetro antiproiettile, circondato da uomini scelti della Gendarmeria. I 12 magistrati della Corte d’Assise speciale hanno impiegato mesi per studiare il gigantesco dossier: 500 volumi di carte processuali. "Il mondo intero ci guarda. Quella notte del 13 novembre che fece precipitare la Francia nell’orrore è una ferita nella memoria collettiva. Ma noi vogliamo rendere giustizia in conformità con le nostre regole: è questo che fa la differenza tra civiltà e barbarie", ha commentato il ministro della Giustizia Eric Dupond-Moretti. "Quello che si apre oggi è un processo storico", ha dichiarato il presidente della corte Jean-Louis Periès prima d’iniziare l’appello dei presenti.

Quando ha chiesto a Salah Abdeslam, imputato chiave del processo, di declinare identità e professione, questi ha ribadito la sua professione di fede e militanza nell’Isis. Ha ricordato che "Allah è l’unico Dio e Maometto è il suo profeta". Ha aggiunto: "Mi chiamo Abdeslam Salah. Ho rinunciato a ogni professione per diventare un combattente dello Stato Islamico". Maglietta nera, barba nascosta dietro la mascherina, capelli impomatati pettinati all’indietro, Abdeslam è tornato a parlare poco più tardi, con rabbia, quando uno degli accusati, Farid Kharkhach, è stato colto da malore.

Si è tolto la mascherina dal volto e ha gridato ai giudici: "Qui sembra tutto bello, ma non vedete quello che c’è dietro. Sono 6 anni che vengo maltrattato, mi fate fare una vita da cani e non dico nient’altro perché so che dopo la morte potrò risuscitare". Il pubblico ha protestato, qualcuno ha urlato: "Bastardo! Noi abbiamo avuto 130 morti!". Nato nel 1989 a Bruxelles, franco-marocchino, Salah è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Fleury-Mérogis, banlieue di Parigi. Ha sempre ostinatamente rifiutato di parlare con gli inquirenti: adesso tutti gli occhi sono puntati su di lui.

Suo fratello Brahim si fece saltare in aria azionando la cintura di esplosivo davanti al Comptoir Voltaire: lui no, buttò via la cintura e si diede alla fuga; andò a nascondersi a Molenbeek, un comune alla periferia di Bruxelles, dove venne catturato quattro mesi dopo. Le prime cinque settimane del processo, che si concluderà in maggio, saranno riservate alle testimonianze dei parenti delle vittime. Sentiremo le parole di Luciana Milano, madre di Valeria Solesin, la ragazza veneziana che era venuta a Parigi per un dottorato alla Sorbona e rimase uccisa nella strage al Bataclan: "I terroristi non mi fanno paura, li disprezzo. La morte di Valeria è stato un attacco al modo di vivere occidentale", ha detto. Ascolteremo anche la testimonianza di Gaelle, una giovane parigina che al Bataclan perse il suo compagno e rimase lei stessa gravemente ferita: "Ho perso metà della faccia nell’esplosione, ho dovuto subire 40 operazioni, ma sono viva".