Roma, 13 giugno 2025 – Attacchi come quello che Israele ha messo a segno stanotte si preparano nel corso di anni, per poi metterli a segno al momento opportuno. E questo, per Benjamin Netanyahu era il momento più opportuno di tutti. Per più motivi. Per prima cosa, c’è un pretesto autorevole. Appena ieri l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, l’Aiea, ha reso noto che Teheran non stava rispettando i suoi obblighi sulla non proliferazione nucleare. È la prima volta che succede in 20 anni. Secondo l’agenzia Onu, basata a Vienna, l’Iran sarebbe arrivato ad arricchire l’uranio del 60%, un livello ben superiore a quello che serve per uso energetico. Segno che gli serve per fini militari.

In secondo luogo, l’Iran ora è debole sotto tutti i punti di vista. Lo è, strutturalmente da quello militare. Le capacità di Teheran non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelle israeliane. Lo è del punto di vista politico, con l’Ayatollah Khamenei ormai vecchio e stanco. La lotta per la conquista del potere, per quanto ben camuffata, è già partita da tempo e non riguarda solo i diversi rami del complesso sistema istituzionale iraniano, ma anche una lotta fra fazioni all’interno dei singoli organi, in testa di Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione. Ma soprattutto, l’Iran è tremendamente debole dal punto di vista dell’intelligence.
Sono mesi che Israele, con operazioni chirurgiche, riesce a decapitare i vertici di organizzazioni che, di fatto, sono proxy di Teheran. Hezbollah in Libano, la sua espressione in Siria, Hamas. Tutte organizzazioni che hanno cercato di sfidare Tel Aviv e che hanno visto la loro leadership decimata.
Lo stesso destino stanotte è toccato proprio al capo dei guardiani della Rivoluzione, il Gen. Hossein Salami, è tra le persone uccise, insieme al capo di stato maggiore dell'esercito, Mohammad Bagheri, e ad almeno un altro generale di alto rango Segno che gli alti vertici dell’Iran sono infiltrati a livelli apicali. Non puoi uccidere persone di così alto grado se non sai dove e quando colpire. Significa che una parte degli apparati sta comunque collaborando con Israele o dietro lauto compenso, o per servirsi dello Stato ebraico per favorire un cambio di regime.
C’è poi il terzo motivo per cui Netanyahu ha attaccato proprio ora: l’assenza della Comunità internazionale, in particolare quella degli Stati Uniti. Il presidente Trump poche ore prima aveva chiesto a Israele di non attaccare, ottenendo l’effetto contrario e oggi ha detto di essere stato informato dell’attacco, che, evidentemente, non è riuscito a impedire. I casi sono tre.
O il premier di Tel Aviv ha un accordo di silenzio assenso con Washington, che finge di essere contrariata, ma che in realtà approva l’attacco frontale ai siti nucleari iraniani che, ricordiamolo, sono una minaccia seria anche per Washington. O Trump spera che, con questo attacco, e quelli che seguiranno nei prossimi giorni, Teheran possa essere interessata a scendere ad avviare un dialogo con la Casa Bianca mediato dalla Russia. La terza eventualità, quella meno auspicabile per il Medioriente e la la tenuta dell’ordine internazionale, è che l’amministrazione americana sia ormai talmente svuotata della sua autorità, che il suo principale alleato si senta in dovere di fare quello che vuole.
I prossimi giorni saranno determinanti per capire quale di queste tre ipotesi prevarrà. Per il momento si può solo dire che l’offensiva di Israele è destinata ad andare avanti per settimane, e non per pochi giorni, come ha detto Netanyahu e che, anche dal mondo arabo sunnita sembrano trapelare segnali per i quali l’indebolimento del leader sciita non dispiaccia affatto. Per capire come evolverà la situazione, mancano alcuni big player dell’area, come la Turchia e soprattutto la Russia e la Cina. A quel punto diventerà più chiaro sia come evolverà la situazione, sia chi saranno i vincitori e i vinti. L’Unione Europea, come sempre, sembra destinata a giocare un ruolo marginale.