Giovedì 18 Aprile 2024

Pearl Harbor 80 anni dopo. I caduti Usa ora hanno un nome. Le storie e i volti

Il dipartimento della Difesa Usa ha lavorato per sei anni. Identificate 400 vittime dell'attacco giapponese del 7 dicembre 1941

I fratelli Leo e Rudolph Blitz

I fratelli Leo e Rudolph Blitz

Leo e Rudolph Blitz si arruolarono in marina all’età di 16 anni. Fu il padre a firmare i moduli per il reclutamento perché erano troppo giovani. Era il 1938. L’America stava uscendo dalla grande depressione. I gemelli Blitz vivevano in un sobborgo di immigrati russi a Lincoln, Nebraska. Pensarono che arruolandosi in marina avrebbero trovato anche un nuovo inizio. Furono imbarcati sull’Oklahoma, corazzata assegnata alla flotta del Pacifico. Incontrarono il destino il 7 dicembre del 1941, quando la battleship venne affondata dai siluri giapponesi nella baia di Pearl Harbor.

Per 78 anni Leo e Rudolph sono rimasti ‘caduti senza nome’. I loro resti vennero raccolti insieme a quelli di altri 427 marinai dell’Oklahoma e sepolti nel cimitero militare di Honolulu. Sulla tomba di questi uomini la struggente epigrafe che segna i militi ignoti: "Qui giace in onorata gloria un fratello in armi, il cui nome è conosciuto solo da Dio".

E da questo cimitero, che per la sua forma ha il nomignolo di Punchbowl, la coppa da punch, è partita una delle più grandi operazioni di profilazione forense che gli Stati Uniti abbiano mai messo in atto. Il dipartimento della Difesa e l’agenzia che si occupa dei caduti in battaglia hanno lavorato sei anni, portando il conto degli identificati a quattrocento su 429 caduti senza nome.

Così Leo e Rudolp hanno avuto le lacrime della famiglia e gli onori meritati. Con loro il musicista di prima classe della Marina Henri Clay Mason, identificato nel 2018 e il sottufficiale capo Albert Eugene Hayden, 44 anni, di Mechanicsville, Maryland. È stato sepolto accanto ai suoi genitori nella contea di St. Mary. Storie di vite interrotte, di lutti durati anni, di dolori che si affievoliscono per lasciare spazio al ricordo. Storie di fratelli, come i Barber. Malcom, 22, Leroy, 21, e Randolph, 19, di New London, Wisconsin. Sono stati identificati lo scorso giugno. E i fratelli Trapp: Harold, 24 anni, e William, 23, di La Porte, Indiana, che sono stati identificati nel 2020.

Il progetto è stato chiuso ufficialmente il 7 dicembre scorso, a 80 anni esatti dall’attacco. Il Punchbowl è stato sacrario in terra per questi figli americani; un luogo più appartato rispetto all’Arizona memorial, lo spazio di mare consacrato dove riposano i 1.100 marinai dell’altra grande corazzata affondata quel giorno. I caduti dell’Oklahoma furono recuperati dal relitto ribaltato della nave, in alcuni casi praticando delle aperture nella spessa blindatura d’acciaio.

Con la tecnologia limitata del tempo, solo 35 uomini furono identificati tra la fine della guerra e i primi anni successivi. I progressi delle analisi sul Dna permisero di trovare altri sei nomi nei primi anni 2000. Sei anni fa, i resti di quelli che risultarono essere 388 individui furono riesumati dalle loro tombe; furono portati in due laboratori della Difesa uno in Nebraska e uno alle Hawaii. Di questi, 355 sono stati identificati.

Il lavoro è stato imponente: più di 5mila campioni di DNA sono stati prelevati nella ricerca. Gli esperti dell’Agenzia governativa hanno dovuto inventariare quasi 13mila ossa che erano state sulla nave e nelle acque intrise di nafta di Pearl Harbor, a volte per mesi. Gli antropologi forensi si sono trovati davanti i resti avvolti in fagotti di stoffa bianca fissati con grosse spille da balia. Il tutto inserito in 61 cofanetti di metallo arrugginito e tumulato in 45 tombe. Ogni bara conteneva da cinque a sette di questi involucri, una in particolare ne aveva 22.

Resti molto parziali: ossa di un braccio, vertebre cervicali di cinque persone diverse mescolate. Un singolo scheletro era composto da ossa di più soldati; alcune avevano ancora l’odore della nafta. Quella stessa nafta che spilla ancora dai serbatoi dell’Arizona affondata, nella baia di Pearl. Gli americani non sono mai riusciti a fare i conti con l’attacco giapponese di Pearl Harbor. Anche dopo l’11 settembre, quella tranquillità violata dai siluri del Sol Levante, rimane un monito per la nazione. Un monito al quale non si poteva rispondere che in un solo modo: riportare quei ragazzi caduti alle loro famiglie.