Domenica 16 Marzo 2025
Giovanni Rossi
Esteri

Putin non chiude alla tregua, lo zar: devo parlarne con Trump. Il tycoon: “Frasi promettenti”

Il presidente russo per ora prende tempo. Ma intanto detta le condizioni. L’alleato Lukashenko: “Gli americani non hanno alcun piano per finire la guerra”

Putin non chiude alla tregua, lo zar: devo parlarne con Trump. Il tycoon: “Frasi promettenti”

Roma, 14 marzo 2025 –  Putin&Trump. Trump&Putin. Volando tra i fusi orari con ambizioni solenni, le parole dei due leader danno seguito alle speranze di pace. “Siamo d’accordo con le proposte di cessate il fuoco per porre fine alle azioni militari, ma partiamo dal presupposto che un cessate il fuoco di questo genere debba portare a una pace duratura e rimuovere le cause profonde della crisi”, apre il leader del Cremlino dopo l’accordo tra Washington e Kiev per un mese di stop alle ostilità. “Dichiarazioni molto promettenti ma non complete. Spero che la Russia faccia la cosa giusta”, è l’auspicio del tycoon dopo l’incontro con il segretario della Nato Mark Rutte. “Utile un colloquio telefonico col presidente Trump”, prosegue lo zar. “Mi piacerebbe, ma dobbiamo concludere in fretta”, risponde in velocità The Donald. A quando la telefonata? A strettissimo giro? 

Vladimir Putin
Vladimir Putin

Putin prende l’iniziativa al termine del bilaterale con il fedelissimo bielorusso Alexandr Lukashenko. Al vassallo di Minsk lascia dire (prima del vertice) quello che molti nella diplomazia russa sospettano in silenzio: “Gli americani non hanno alcun piano per il conflitto ucraino, assolutamente nulla. Quello che stanno facendo è cercare di capire: cosa vogliono questi? cosa vogliono quelli?” Lukashenko si espone: “Vladimir Vladimirovic me lo dirà” (o magari anche no).

Vladimir Vladimirovic, cioè Putin, pattina abilmente sul ghiaccio. Reduce dal Kursk in parte abbandonato dagli ucraini in parte riconquistato dai suoi soldati – e quindi definitivamente sottratto a ipotesi di baratti territoriali –, il presidente russo sveste la mimetica e sceglie toni misurati: la fresca minaccia di Trump di “fare cose finanziariamente molto dannose per la Russia”, viene sepolta sotto ragionevoli controdeduzioni e l’invito al confronto tra capi: “Ci sono una serie di questioni che vanno discusse e credo abbiamo bisogno di parlarne con i colleghi e partner americani”. Sì, “partner”, Putin chiama gli americani così. Perché chiudere le ostilità “in maniera pacifica” è obiettivo che il Cremlino appoggia e condivide. Il contestuale ringraziamento a “Cina, Brasile, Sudafrica e India” per gli sforzi già profusi serve a ricordare alla Casa Bianca che spegnere un conflitto è molto complesso. Non è come rimettere un accendino in tasca.

“Chi darà l’ordine di fermare le ostilità? E quale sarà il prezzo di questi ordini? Ci sarà una mobilitazione forzata in Ucraina, una consegna di armi?”, chiede il leader russo. “Nel Kursk – aggiunge – tutto è sotto il nostro completo controllo”, agli ucraini “restano solo due opzioni: arrendersi o morire”. Insomma, Putin non ha fretta: “In base a come si svilupperà la situazione sul terreno, concorderemo i passi per la cessazione del conflitto e raggiungere accordi accettabili per tutti”. Tanti gli aspetti da vagliare: su un fronte “lungo 2.000 chilometri, chi deciderà se c’è stata una violazione?”

Ucraina fuori dalla Nato e nessuna restituzione di territori: queste restano le condizioni del Cremlino (che Kiev rifiuta). Putin e i suoi ne stanno già parlando con l’inviato speciale di Trump Steve Witkoff. E dopo 1.114 giorni di guerra, ogni parola che prefiguri uno scenario diverso, pur nella totale distanza tra le parti, merita il massimo approfondimento.