Mercoledì 24 Aprile 2024

Ucraina, il testimone di Bucha: "Il mio diario dell'orrore, i russi sparavano ai civili"

Il racconto di chi spiava le truppe nemiche dalle finestre di casa

Oleksij Tarasevych

Oleksij Tarasevych

Uno stato di choc permanente. Oltre il limite della paura e del dolore. Prima l’incredulità: non può succedere a noi, questa è la cronaca lontana di Luhansk e del Donetsk. Poi la certezza di essere precipitati all’inferno tutti assieme. La gente di Bucha voleva credere nella pace. Ci ha creduto anche quando i blindati russi sono saltati in aria per sciogliersi come cioccolato e quelli che si dicevano nemici portavano negli occhi lo stesso disperato stupore. Oleksij Tarasevych vuole che tutti sappiano. Ogni giorno , dal primo, ha fotografato la vita mentre si piegava e cambiava forma: il tesoro di una tanica d’acqua, l’opulenza delle patate con la buccia, i corpi degli amici seppelliti in fretta e poi di nuovo strappati alla terra, perché nemmeno là sotto erano al sicuro. Ha riempito i diari dell’orrore tenendo sempre un fiammifero in mano, nel caso fosse stato necessario bruciare tutto. Scriveva pensando ai suoi figli convinto che non li avrebbe più rivisti.

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Un dialogo di 150 pagine sui crimini contro l’umanità poi messo al sicuro dentro a un file di Word. C’è già il titolo: "La cronaca delle tre finestre", la guerra vista da una palazzina di pochi piani. Fuori i soldati sorpresi in gesti incongruenti con in mano vanghe e piedi di porco, impegnati a nascondere i loro mezzi sotto coperte e lenzuola dallo sguardo dei droni. Dentro le giornate consacrate alla sopravvivenza, seduti sui sofà diventati arsenali perché non c’era un altro posto dove nascondere le armi raccattate per strada. Oleksij Tarasevych era tornato a casa per festeggiare il compleanno di suo padre che cadeva il 5 marzo. Il 24 febbraio era in viaggio quando ha avvertito il primo segnale, la cancellazione dei treni. Non ha ancora avuto paura. La paura è arrivata il 27 con la colonna militare russa che ha forzato uno sbarramento in Vokzalna Street e tutto è esploso. Sembrava una festa, era il mondo alla rovescia. Chi è il nemico? La gente scendeva in strada a guardare il caos e collezionare trofei: armi, munizioni, documenti. Da custodire sotto i cuscini dei divani, dove in un’altra vita finivano i giocattoli dei bambini. Ha aiutato a scavare trincee nell’area delle fabbriche di vetro, annotato il numero dei cadaveri. Il primo non si dimentica, poi diventa smarrimento aritmetico. Ha cominciato a spegnersi tutto. Elettricità, connessioni telefoniche, gas, acqua. Soli su un’isola deserta ad aspettare finché i russi si presero le loro case. Sua madre si finse paralizzata e non le chiesero di alzarsi dal letto. Fuori erano scoppi continui. Sparavano sui civili. Al rumore ci si abitua, al suo contrario no. Più terribile di tutto era il silenzio, vuoto indecifrabile in cui nemmeno i cani avevano il coraggio di abbaiare.