Niente università per le donne Le afghane sfidano i talebani "Noi in piazza contro il divieto"

Botte e arresti ma la protesta non si ferma. Manifestazioni nella capitale e anche in altre città. La condanna internazionale: "La decisione di Kabul è un crimine contro l’umanità"

Kabul, 23 dicembre 2022 - "Siamo in piazza per i nostri diritti, per la giustizia, l’uguaglianza e per rivendicare la presenza delle donne nella società e nella politica. Il nostro appello è per la riapertura delle scuole e delle università per le donne, contro la violenza a cui siamo sottoposte. Non ci fermeremo fino a che non otterremo quello che ci meritiamo e siamo disposte a lottare contro i talebani". Le parole rilasciate alle agenzie di stampa, tra cui Dire, sono di Laila Basim. Lei è un’economista e una delle leader della protesta in corso in Afghanistan contro la decisione dei talebani di vietare alle donne l’accesso a tutte le università del Paese, pubbliche e private, resa ufficiale in settimana con un’ordinanza inviata dal ministero dell’Istruzione superiore a gli atenei del Paese.

Ieri ci sono state manifestazioni non solo a Kabul, ma anche in altre città dell’Afghanistan: in particolare nelle province di Herat, Balkh e Takha. Ieri nella capitale afghana sono state arrestate sei dimostranti. C’era una ventina di donne fuori dall’università, i cui ingressi erano sbarrati.

Le proteste delle donne afghane a Kabul
Le proteste delle donne afghane a Kabul

Irrompono sulla scena nazionale e anche in quella internazionale le immagini di queste proteste che sono rarissime a Kabul. E le condanne nei confronti del regime arrivano a pioggia, dalle diverse latitudini geografiche e politiche. L’ultima stretta dei talebani con il divieto per le donne di accesso all’università è ricevuta con un sussulto per la conferma, ancora una volta, del clamoroso quanto preoccupante passo indietro dei diritti in Afghanistan tornato sotto la guida dei talebani nel ‘ferragosto di sangue’ del 2021.

Forse per questo nelle scorse ore i talebani hanno insistito nello scandire la loro versione: le donne sono state bandite dalle università in Afghanistan per "il mancato rispetto delle regole di abbigliamento". Ha affermato il ministro dell’Educazione dei talebani, come se volesse rispondere così al coro di condanne, con in testa il G7 secondo cui la discriminazione contro le donne afghane costituisce un possibile "crimine contro l’umanità". Ma anche per giustificare gli arresti durante una manifestazione di protesta a Kabul, tra loro tre sono giornaliste stando alla Bbc.

I video postati online mostrano oltre venti donne in hijab in corteo lungo le strade della capitale, con striscioni e slogan. Poi, riferiscono i testimoni, sono scattati gli arresti. Dagli Usa all’Ue, ma anche il Regno Unito e le singole cancellerie di Berlino, Parigi, Berna: tutti d’accordo nel condannare questa ennesima chiusura dei talebani e ad additarla, senza mezzi termini, come una inaccettabile violazione. Ieri in una dichiarazione il G7 è andato oltre: il trattamento delle donne in Afghanistan da parte dei talebani "può costituire un crimine contro l’umanità ai sensi dello Statuto di Roma, di cui l’Afghanistan è uno Stato membro", scrivono in un comunicato congiunto i ministri degli Esteri del Sette Grandi, condannando con fermezza la recente esclusione delle donne afghane dall’università. Ne ha parlato anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, affermando che "è inconcepibile pensare che nel mondo ci siano ancora esseri umani considerati di serie A e di serie B". Lo ha detto a margine della Conferenza degli ambasciatori alla Farnesina, con riferimento anche alla situazione in Iran. "Siamo convinti che sia necessario difendere il diritto di ogni persona di studiare e realizzare i propri sogni – ha aggiunto –. Ciò che sta accadendo in Afghanistan e Iran riporta i Paesi indietro di decenni".

Ma ieri, nonostante le proteste internazionali, si è saputo che i talebani hanno proibito alle ragazze anche l’accesso ai centri d’istruzione privati, dopo aver fatto altrettanto con l’istruzione superiore per le studentesse. La mobilitazione però continua. Un po’ come in Iran. Su Twitter è stato anche coniato l’hasthag #LetHerLearn, tradotto letteralmente "lasciate che possano studiare". Con ulteriori appelli rivolti ai media internazionali.