Niente turisti da due anni: Giappone chiuso per virus

Emergenza Covid lontana, ma i confini restano blindati. "Siamo felici così". Il docente: il Paese ha retto bene nella pandemia, ora c’è paura a cambiare

Questa è la stagione dei ciliegi in fiore, ma sono solo i giapponesi ad ammirarli

Questa è la stagione dei ciliegi in fiore, ma sono solo i giapponesi ad ammirarli

Annunciate da minacciosi pennacchi di fumo, l’8 luglio del 1853 le quattro ‘navi nere’ del commodoro Matthew Perry entrarono nella baia di Edo, come si chiamava allora Tokyo, e puntarono i loro cannoni verso il porto di Uraga. Il Giappone si scoprì indifeso. Così, con un ultimatum, cominciò la fine dell’ostinato isolamento del Paese (noto come ‘sakoku’, Paese chiuso), iniziato per contenere l’influenza delle potenze coloniali europee e poi durato oltre due secoli. Un anno più tardi sarebbe stato concesso il permesso di sbarco e commercio agli americani richiesto da Perry e nell’arco di 15 sarebbe crollato anche il sistema degli shogun, i capi militari che avevano governato il Paese da lunghissimo tempo. Nessuno sa, invece, come e quando finirà il nuovo isolamento del Giappone che da oltre due anni ha chiuso i confini. Una misura presa per limitare la diffusione del Covid e poi mantenuta, mentre il Paese sembra trovarsi ancora una volta a proprio agio in questa condizione, senza alcuna fretta di riaprire le porte delle sue isole al mondo esterno.

I limiti sono stati addirittura più rigidi che in passato, per certi versi: nel ‘700 gli olandesi, solo loro, potevano sbarcare a Nagasaki per motivi commerciali. Questa volta la chiusura è stata a lungo pressoché totale e solo da poche settimane il Paese ha ripreso a concedere un numero limitato di visti per studio o lavoro. Ma ci si ferma qua: i turisti, per ora, restano fuori. "Non ci sono piani per ulteriori aperture nel breve termine", il primo ministro conservatore Fumio Kishida lo ha confermato a inizio mese, mentre a Tokyo e Kyoto fiorivano le migliaia di ciliegi piantati lungo le strade, i canali, nei parchi e nei giardini dei templi, uno spettacolo che un tempo segnava l’apice della stagione turistica e che per il terzo anno consecutivo è stato ammirato solo dai giapponesi e dagli stranieri residenti.

Ma in termini di contenimento della pandemia la chiusura dei confini ha funzionato? Il Giappone ha registrato un numero di casi di coronavirus e di vittime molto basso (232 per milione di abitanti contro le oltre 2.700 registrate in Italia), nonostante una popolazione fra le più anziane al mondo, una campagna vaccinale che ha arrancato sulla terza dose e senza veri lockdown. I motivi non sono chiari. Ma anche per questo non si cambia nulla: "Direi che non c’è un elemento ideologico in questa decisione di chiudersi – spiega il professor Marco Del Bene, docente di Storia del Giappone all’università La Sapienza di Roma –, ma forse uno egoistico sì. Visto che il Paese se l’è passata relativamente bene c’è la paura che le cose potrebbero cambiare"

"Nessuno, neanche i giapponesi, si aspettavano che saremmo arrivati a tanto – prosegue Del Bene –, ma in Giappone quando si prende una direzione a volte si crea una vischiosità politica e sociale per cui diventa difficile modificarla". La situazione è imprevedibile, ma molti ritengono difficile che qualcosa cambi prima di luglio, quando si terranno le elezioni della Camera alta. La chiusura porta, però, con sé anche dei rischi difficili da calcolare. "Prima della pandemia – conclude il docente – il Giappone era già un Paese con un basso livello di internazionalizzazione e al di fuori di Tokyo poco aperto agli stranieri: questa prolungata chiusura potrebbe accentuare la tendenza".