La Nfl lancia l'inno afroamericano. Sarà suonato prima di quello americano

La lega di football più famosa al mondo vuole evitare che gli atleti si inginocchino per protestare contro le violenze della polizia, come nel caso di George Floyd

Nfl, la protesta di Eric Reid e Colin Kaepernic (a destra) durante l'inno americano (Ansa)

Nfl, la protesta di Eric Reid e Colin Kaepernic (a destra) durante l'inno americano (Ansa)

Washington, 3 luglio 2020 - La Nfl, il campionato di football più seguito d'America, lancerà l'inno afroamericano all'inizio di tutte le partite della prima giornata della stagione. La canzone si chiama "Lift Every Voice and Sing", nasce da una poesia antirazzista scritta più di un secolo fa, e verrà eseguita fin dalla prima partita della nuova stagione, in programma il 10 settembre: Houston Texans contro i Kansas City Chiefs. L'inno verrà trasmesso, in forma registrata o eseguita dal vivo, prima di quello americano. L'idea della Nfl nasce, probabilmente, da un duplice obiettivo: onorare gli afroamericani, che rappresentano la maggioranza dei giocatori, e allo stesso tempo evitare, forse, che tutti gli atleti, o almeno gran parte di essi, si inginocchino per protesta durante l'esecuzione dell'inno americano, gesto che farebbe infuriare il presidente Donald Trump e i molti trumpiani che seguono questo sport.

Il gesto di inginocchiarsi nel corso dell'inno americano come segno di protesta nei confronti delle violenze della polizia sugli afroamericani su inaugurato quattro anni fa da Colin Kaepernick, ex quarterback dei San Francesco 49ers, finito sulla lista nera della Nfl proprio per questo gesto di protesta. Dopo la morte di George Floyd e la successiva ondata di proteste negli Usa prima e poi in tutto il mondo, Kaepernick è ancora di più venuto alla ribalta come simbolo di una protesta per cui è stato sportivamente 'ghettizzato' (non ha più trovato squadra negli ultimi anni) e solo recentemente compreso dall'opinione pubblica.

Washington Redskins pronti a cambiare nome

"Cambiate il nome alla squadra". L'onda lunga delle proteste dopo la morte di George Floyd investe la National Football League e in particolare i Washington Redskins. I 'pellerossa' della capitale, che sul casco esibiscono come logo un indiano, già in passato sono stati invitati a cambiare nome. Ora, con il paese scosso dalle proteste delle ultime settimane, la franchigia deve fare i conti con il pressing della FedEx, il colosso che versa 205 milioni di dollari per battezzare lo stadio in cui la squadra gioca le partite casalinghe. "Abbiamo fatto pervenire a Washington la nostra richiesta affinché la squadra cambi nome", ha fatto sapere FedEx in una nota al network Espn. Frederick Smith, presidente e Ceo di FedEx Corp., è anche azionista di minoranza dei Redskins.

La richiesta, quindi, proviene da una figura rilevante all'interno della franchigia.  Il proprietario dei Redskins, Dan Snyder, deve fare i conti anche con l'ipotesi di marcia indietro di alcuni sponsor, secondo Adweek. FedEx, Nike e PepsiCo avrebbero ricevuto comunicazioni firmate da 87 azionisti di peso. Tutti avrebbero formalizzato una richiesta esplicita alle aziende: rompere con i Redskins se non cambieranno nome. Espn riferisce che nelle ultime ore la Nike avrebbe rimosso il merchandising della squadra dal proprio store online.  Le pressioni sui Redskins non sono una novità. Già nel 2014 due membri del Congresso avevano scritto una lettera al commissioner della Nfl, Roger Goodell, esortandolo a pronunciarsi pubblicamente a favore di una modifica del nome della squadra: "La National Football League non può più ignorare e perpetuare l'uso di questo nome per quello che realmente rappresenta: un insulto razzista".