Sabato 5 Ottobre 2024
ALDO BAQUIS
Esteri

Netanyahu ignora il dissenso Usa. I tank israeliani dividono in due Rafah: "Circondata la zona Est della città"

Il gabinetto di guerra vota all’unanimità l’intensificazione dell’operazione nel Sud della Striscia. Il premier: "Sgominati molti battaglioni nemici, vittoria a portata di mano". Ma cresce il malumore per le perdite.

Dopo il fallimento, almeno temporaneo, dei negoziati al Cairo per un cessate il fuoco, nel Sud della Striscia sono subito ripresi aspri combattimenti fra Israele e Hamas. Nemmeno il grave avvertimento del presidente Joe Biden che reagirebbe con la sospensione di importanti forniture militari ad Israele se il suo esercito entrasse in forze nella sovrappopolata e congestionata Rafah è bastato a bloccare la situazione. Così pure gli appelli del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ad impedire a tutti i costi un "disastro umanitario di carattere epico" fra oltre un milione di sfollati, con la chiusura dei valichi di Rafah e di Kerem Shalom, sono rimasti senza effetti tangibili sul terreno.

Nella notte di giovedì il gabinetto di guerra di Israele ha egualmente votato per una estensione delle attività militari nell’area compresa fra la linea di demarcazione ed il centro abitato di Rafah. Si tratta di un’area profonda non molti chilometri. Fonti locali hanno riferito che blindati israeliani hanno preso posizione nell’importante arteria Salah a-Din, che dal valico di Rafah porta al centro della Striscia.

D’altra parte Hamas non è rimasto a guardare. Per la quarta volta questa settimana – secondo Israele – Hamas ha colpito da Rafah con i propri mortai il valico di Kerem Shalom. In uno di questi attacchi erano rimasti uccisi quattro militari. Dalla vicina Deir el-Balah Hamas ha inoltre lanciato ieri due volte razzi verso Beer Sheva (principale città israeliana del Negev con 200mila abitanti, distante 50 chilometri da Gaza) costringendo gli abitanti ad entrare a precipizio nei rifugi. E a Gaza City, nel rione Zeitun, quattro militari israeliani sono rimasti uccisi ieri in un agguato teso da Hamas all’interno di una scuola.

Anche se il premier Benjamin Netanyahu ripete spesso che buona parte dei battaglioni di Hamas sono stati sgominati e che "la vittoria è a portata di mano", il continuo stillicidio di queste perdite sta creando crescente malumore in Israele, in particolare nelle unità dei riservisti. Dalla Striscia di Gaza sono giunte in queste giorni immagini da cui sembra apparire al contrario che Hamas sta recuperando un controllo, almeno parziale. In questo senso Hamas sfrutta a pieno le incertezze di Netanyahu che in questi mesi non ha saputo spiegare agli Stati Uniti quale sia la sua visione della futura gestione della Striscia, limitandosi a precisare che essa non dovrebbe essere amministrata "né da Hamas né dalle forze israeliane". Netanyahu ha anche escluso apertamente alcun coinvolgimento attivo della Autorità nazionale palestinese.

In un’intervista ad una rete televisiva statunitense, Netanyahu ha ieri ipotizzato che a Gaza – al termine dei combattimenti – "probabilmente bisognerà avere un governo civile con residenti della Striscia non votati alla nostra distruzione". Incalzato dall’intervistatore statunitense Netanyahu ha anche ammesso, ma solo a mezza bocca, che nel disastro israeliano del 7 ottobre "c’è una responsabilità mia e di tutti quanti" perché il suo governo non ha saputo garantire protezione ai civili che vivevano vicino a Gaza.

Incalzato da mesi dalla stampa israeliana (e mentre su molte arterie del Paese compaiono vistosi cartelloni a pagamento che lo accusano di essere responsabile della morte di 1.500 israeliani), Netanyahu si è sempre rifiutato finora di ammettere alcuna mancanza personale. E mentre è prodigo di interviste ai media Usa, dal gennaio 2023 il premier si è invece ostinatamente rifiutato di rilasciarne alcuna ai media israeliani ritenendoli visceralmente ostili a lui.