di Aldo Baquis
TEL AVIV
A Tel Aviv il dramma dei 130 israeliani tenuti in ostaggio da Hamas scende in strada, nel Boulevard Begin, all’ingresso del Ministero della Difesa. Nel grande edificio a forma di cubo si progettano le fasi ulteriori della guerra, da cui dipende anche in definitiva la sorte dei prigionieri. Da sabato sul marciapiede antistante si sono accampate le famiglie di alcuni ostaggi. "Da qui – assicurano – non ci muoviamo più. Resteremo ad oltranza. Chiediamo al gabinetto: un accordo per la liberazione di tutti quanti, e che sia subito". All’inizio del mese, durante una settimana di tregua, 110 sono stati rilasciati da Hamas. Ma per quelli rimasti il futuro è molto oscuro.
Ad aggravare la loro situazione, se mai possibile, c’è adesso anche uno sviluppo interno. Il ‘fronte’ delle famiglie degli ostaggi – che per due mesi era rimasto compatto – sembra ora sul punto di sfaldarsi. La linea di demarcazione ricalca quella della politica interna che ha caratterizzato il 2023: da un lato i sostenitori di Benjamin Netanyahu – che esigono la massima fermezza e la prosecuzione ad oltranza della manovra militare nelle viscere di Gaza – ed i suoi oppositori che in questa fase puntano ad un ulteriore scambio di prigionieri, accompagnato da un cessate il fuoco. "Per debellare Hamas – affermano – sarà sempre possibile farlo in futuro. Intanto salviamo le vite dei nostri compatrioti". Informazioni di intelligence stabiliscono che almeno 20 ostaggi sono morti a Gaza: o nei bombardamenti, o assassinati da Hamas. Tre di loro inoltre sono stati uccisi, in un tragico incidente, da soldati che li avevano scambiati per terroristi. Le testimonianze di quanti sono usciti dai bunker di Hamas non lasciano dubbi: chi è ancora prigioniero a Gaza patisce sevizie psicologiche e fisiche incessanti, e rischia la morte in ogni momento.
"Il tempo stringe" hanno avvertito sabato le famiglie in un incontro con due dirigenti del gabinetto di guerra. "Israele deve assolutamente mettere sul tavolo una proposta che Hamas non possa rifiutare". Netanyahu ha inviato il capo del Mossad a tastare il terreno con il premier del Qatar per verificare se sia possibile procedere. Ma da Gaza finora non giunge alcun segnale di cedimento.
Ma adesso le manifestazioni nelle strade di Tel Aviv sono oggetto di veementi critiche di altre famiglie di ostaggi, ideologicamente vicine alla destra religiosa. "Quelle proteste devono cessare perché non fanno altro che irrigidire le posizioni di Hamas", ha esclamato con angoscia Zvi Mor, padre dell’ostaggio Eitan, che il 7 ottobre fu catturato al Nova Party vicino al Kibbutz Reim. Di lui non si è più saputo niente. "Hamas vede le proteste contro il governo, ed alza i prezzi’’.
Secondo Zvi Mor con l’attacco del 7 ottobre Hamas ha preso in ostaggio in realtà non 240 israeliani, ma tutti i sette milioni di ebrei che vivono in Israele. "Elargire una vittoria a Hamas – concorda con lui Makor Rishon, un giornale del nazionalismo religioso – sarebbe l’inizio della fine del nostro Stato", perché mostrerebbe ai palestinesi che è adesso realistico pensare di mettere in ginocchio Israele. Dunque, secondo Zvi Mor e le famiglie che la pensano come lui, la soluzione obbligata consiste nell’accrescere la pressione militare su Hamas, mettere i suoi leader con le spalle al muro e forse, così facendo, consentire la fuga di ostaggi. Uomo di fede, Mor si è anche recato a Hebron (Cisgiordania), nella Tomba dei Patriarchi – dove secondo la tradizione sono sepolti Abramo, Isacco e Giacobbe – da dove ha pregato per un miracolo che riporti il figlio in libertà. Da un lato l’ottica di Tel Aviv, la capitale del high-tech israeliano, e dall’altra la biblica Hebron: sono i due poli fra quali i dirigenti del Paese cercano di stabilire le prossime mosse della guerra.