Nato, i perché dell'altolà turco a Finlandia e Svezia. "Erdogan tratta per avere armi"

L’analista Giustino: "Quella di Ankara è una strategia: punta alle tecnologie militari Usa oggi embargate"

Il presidente turco Recep Erdogan ha 68 anni ed è in buoni rapporti con Vladimir Putin

Il presidente turco Recep Erdogan ha 68 anni ed è in buoni rapporti con Vladimir Putin

"Quello di Erdogan non è un no. È un’altra cosa: è l’inizio di una trattativa. È un modo per avviare un negoziato attraverso il quale ottenere quello che cerca da tempo: la fine dell’embargo di tecnologia militare da parte di Usa, Svezia e Finlandia, e la fine della libertà d’azione o dell’ospitalità nei Paesi scandinavi di gruppi considerati terroristi vicini al Pkk e di membri della comunità religiosa di Fethullah Gulen e di formazioni dell’estrema sinistra". Mariano Giustino, corrispondente di Radio Radicale dalla Turchia e studioso della politica e della società di quel Paese, dà una lettura ben più articolata del presunto veto del Rais all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. E, del resto, non a caso, appena qualche ora dopo le parole del presidente turco arriva la conferma che il tavolo del confronto si aprirà fin da oggi a Berlino tra il ministro degli Esteri di Ankara e quelli di Stoccolma e di Helsinki, mentre dal Dipartimento di Stato si fa sapere che l’argomento sarà discusso anche con i rappresentanti americani.

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Dunque, quello di Erdogan è solo un avviso ai naviganti: nessuna adesione senza che siano soddisfatte anche la nostre richieste?

"Erdogan ha detto: ’Stiamo seguendo gli sviluppi sulla Svezia e la Finlandia, ma non abbiamo una opinione positiva, perché hanno fatto un errore nella Nato riguardo la Grecia’, aggiungendo che ’i Paesi scandinavi danno ospitalità alle organizzazioni terroristiche’. Come si comprende, non è un no assoluto. In sostanza, dice: volete il nostro voto, che è indispensabile perché possano aderire i due Paesi, ebbene, per averlo, dobbiamo affrontare altre partite che ci riguardano direttamente".

Scendiamo nel concreto: che cosa vuole il Rais?

"La Turchia sta cercando di recuperare i rapporti e la reputazione con gli Stati Uniti e Unione europea. L’immagine e le relazioni con gli Usa si sono deteriorate per via di molteplici fattori. Innanzitutto perché la Turchia, che è un Paese Nato, ha acquistato il sistema anti-missili S400 dalla Russia che minaccia la sicurezza degli F35. E così Washington ha escluso Ankara dal programma di produzione e acquisizione dei caccia F35 di nuova generazione e ha applicato una raffica di sanzioni all’industria militare turca, con l’aggiunta dell’embargo sulla fornitura di nuovi sistema d’arma, come i nuovi F16 e altri mezzi per ammodernare la flotta aerea. Si capisce che dagli Usa vuole la rimozione di queste misure. E, non a caso, Biden si è mosso in questa direzione nei confronti del Congresso".

Con Finlandia e Svezia quali sono, invece, le ragioni del contenzioso?

"I due Paesi producono tecnologia militare per i droni turchi e hanno imposto alla Turchia un embargo sulla vendita di questa tecnologia perché ritengono che Ankara possa utilizzarla contri i curdi. Non solo. Erdogan accusa Stoccolma e Helsinki di essere ’pensioni’ per i terroristi del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, ma anche per i membri della comunità religiosa di Fethullah Gulen che si sono rifugiati in quell’area e che sono accusati di aver orchestrato il tentato golpe del 15 luglio 2016, oltre che di componenti dei gruppi dell’estrema sinistra rivoluzionaria turca (Dhkpc) macchiatasi di gravi attentati. Tutto questo entra nella trattativa: la Svezia e la Finlandia devono cambiare passo, per Erdogan, con i suoi “nemici“ interni e togliere le sanzioni".

La vicinanza con Putin, insomma, non gioca nessun ruolo?

"No. Escluderei questa cosa. Noi ci dobbiamo mettere in testa che Erdogan è una persona pragmatica. La sua azione è volta a trarre vantaggi dalla guerra e dalla crisi in corso".

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