Minacce di morte ai vip? Facebook non cancella

Il Guardian svela le linee guida per i moderatori del social: odio autorizzato contro i personaggi famosi, in nome della libertà d’espressione

Mark Zuckerberg, 36 anni, è fondatore e ceo di Facebook

Mark Zuckerberg, 36 anni, è fondatore e ceo di Facebook

NEW YORK - Non guadagnano più di 90.000 dollari lordi l’anno e non hanno sindacati che li tutelano. Nella maggior parte dei casi i loro turni arrivano a 12 ore al giorno con salari di 15 dollari ogni 60 minuti effettivi, senza pause. Parliamo delle migliaia di censori di Mark Zuckerberg finiti di nuovo nell’occhio del ciclone. Sono gli strategici moderators di Facebook, gli spazzini del web, che hanno il potere di pulire e bloccare arbitrariamente sui social contenuti e frasi violente e offensive che incitano all’odio. È vero che passo dopo passo le restrizioni hanno bloccato temporaneamente i messaggi incendiari di Donald Trump, ma per molti il risveglio dei potentissimi padroni delle piattaforme rimane ambiguo, tardivo e forse pericoloso.

In pochi sanno ad esempio, se non lo avesse rivelato il Guardian, che a dicembre Facebook ha consegnato a tutti i moderatori un manuale di più di 300 pagine imbottite da centinaia di definizioni e linee guida alle quali attenersi. Nel tomo c’era addirittura l’indicazione a lasciar correre e a non bloccare se nei testi e nei messaggi si leggeva addirittura l’incoraggiamento alla morte di una persona. Se era un personaggio pubblico la censura cadeva. Di queste categorie bersaglio ad esempio fanno parte non solo i politici e i vip ma in genere i personaggi famosi, compresi i giornalisti.

Nel manuale top secret è specificato ad esempio che viene considerato "personaggio pubblico" – e quindi i moderatori sono invitati a non intervenire – anche chi ha avuto cinque citazioni in un anno su un social o su uno strumento di comunicazione. In pratica una massa enorme di persone che possono venir molestate o aggredite verbalmente senza che Facebook intervenga a regolamentare e proteggere la privacy. Tutto questo nel nome del diritto alla "libera espressione del pensiero".

Gli esperti che hanno esaminato il documento comportamentale approvato da Mark Zuckerberg si dicono "sconvolti". La barriera di protezione praticamente non esiste perché Facebook ha l’occhio sempre più attento a non perdere fruitori e a non scontentare i gruppi più estremisti che proprio sul sito hanno sviluppato le loro attività anche costruendo una sorta di rete tollerata e sovversiva. Senza parlare dell’esplosione delle fake news.

Lo spauracchio ventilato dal Congresso americano è quello dell’articolo 230 che se modificato o eliminato potrebbe esporre le grandi piattaforme a rispondere direttamente dei loro contenuti e della loro provenienza. In febbraio Instagram, sempre controllata da Facebook, ha minacciato di spegnere tutti i messaggi abusivi lanciati contro i giocatori di football soprattutto di colore. Molti hanno parlato anche di discriminazioni razziali. Il portavoce di Facebook ha invitato a riconoscere l’importanza della discussione critica, anche serrata, soprattutto se rivolta ai politici, ma ha messo in guardia contro l’abuso dei linguaggi.

"Noi siamo impegnati a rimuovere tutti i contenuti d’odio e lo stiamo facendo", dicono gli uomini di Zuckberberg, ma dopo la vendita dei dati personali e tutte le altre complicità a livello internazionale alle quali Facebook si è prestata solo nel nome degli affari e non della trasparenza, sembra che ci sia resistenza a credere ancora oggi nella loro buonafede.