Lula, chi è il nuovo presidente del Brasile

Il leader del Partito dei Lavoratori è al suo terzo mandato e guiderà il Brasile per quattro anni dal prossimo primo gennaio

Brasilia, 30 ottobre - In patria c’è chi lo idolatra, chi lo chiama “l’araba fenice” che sa sempre risollevarsi dalle proprie ceneri, e chi non ha proprio mezzi termini definendolo “de ladrao”, un ladrone. Luiz Inacio Lula da Silva – che ha conquistato il suo terzo mandato presidenziale e guiderà il Brasile per quattro anni dal prossimo primo gennaio - in realtà era finito nella polvere e anche più giù quando fra il 2018 e il 2019 passò diciotto mesi in carcere dopo una condanna a dodici anni con l’accusa di corruzione per avere comprato i voti della opposizione in Parlamento, il ben noto “Mensalao”, e per avere riciclato denaro proveniente da mazzette in attività illegali, come l‘acquisto di immobili per tutta la famiglia, l’altrettanto famoso “Lava jato”. Dalle accuse e dal carcere di Curitiba il fondatore del Partito dei Lavoratori, la prima forza a decisa trazione comunista del Paese, è uscito redento perché chi l’ha fatto entrare, il giudice Sergio Moro, si è scoperto anch’egli corrotto dopo che il presidente Jair Bolsonaro, acerrimo nemico di Lula (“ladrao” glielo ha detto in diretta tv durante l’ultimo dibattito fra i candidati su Rede Globo), lo aveva nominato ministro della Giustizia. Bolsonaro quella liberazione non l’ha mai digerita e infatti ha sempre citato il suo avversario come “il corrotto” e non con il suo nome.

Luiz Inacio Lula da Silva è al suo terzo mandato (Afp)
Luiz Inacio Lula da Silva è al suo terzo mandato (Afp)

La “fenice” ha compiuto 77 anni il 27 ottobre. Nativo di Garanhuns nello stato nordestino di Pernambuco, Lula è figlio di un contadino analfabeta. Una famiglia povera la sua e infatti Luiz deve cominciare a lavorare quando compie 12 anni e fino all’ascesa politica non finirà mai di essere “l’operaio”. Giunto a sette anni con la famiglia a San Paolo – la operosa città che è il centro economico e più ricco del Brasile pur non essendone mai stata la capitale – a bordo di un carretto e poi di un autobus, fra sacchi di juta con le misere cose portate via dal nordest, Lula entra in fabbrica a San Bernardo do Campo, periferia paulista. A 19 anni perde un dito in un tornio e allora si mette a fare il sindacalista arrivando nel 1978 alla guida nazionale dei metalmeccanici. Il salto nella politica è fin troppo facile e avviene due anni dopo: Lula fonda assieme ad altri compagni del sindacato il Partito dei Lavoratori, movimento che si situa nel solco marxista e fa sbarcare il comunismo nel grande Paese sudamericano.

La situazione non è facile, l’attività dei “trabalhadores” avviene molto in clandestinità visto che il Brasile è sotto una dittatura militare. Ma Lula diventa per le classi operaie un fenomeno studiato ovunque. La fine dei generali, il 15 gennaio 1985, riporta la democrazia e fa nascere l’Assemblea Costituente, dove Lula ha un seggio, che nel 1988 fornirà il Brasile della nuova Carta. Il Pt allarga la sua attività a tutto il Paese, un partito di massa ormai a cielo aperto tanto che il suo leader si candida alle elezioni presidenziali del 1989 sfidando Fernando Collor de Mello. La competizione sembra impari, ma Lula fa una campagna elettorale molto vivace e riceve numerosi voti denunciando anche dei brogli a suo svantaggio. La presidenza Collor sarà uno dei momenti peggiori del Brasile. L’impeto con il quale Lula la combatté portò alla luce un sistema corruttivo che aveva il presidente al suo vertice. Numerose le manifestazioni pubbliche guidate da Lula con le sue bandiere rosse che portano all’impeachment e, nel 1982, alla cacciata di Collor de Mello dal Planalto.

Nelle elezioni del 1994 e poi del 1998 Lula si scontrò con Fernando Henrique Cardoso, un economista liberale ben conosciuto e stimato all’estero, colui che combatté col “Plano real” l’inflazione del Paese. Due sconfitte al primo turno, ma con risultati numerici sempre maggiori tanto che nel 2002 era proprio lui, l’ex umile operaio, il favorito. La sfida è con José Serra, del Partito della socialdemocrazia brasiliana, di centro. Al ballottaggio Lula conquista il 61% dei suffragi, oltre 54 milioni di voti. Quattro anni dopo viene riconfermato sempre al ballottaggio dopo avere ottenuto il 48% al primo turno: avrà il 60 per cento superando Geraldo Alckmin, il cattolico oggi suo alleato.

Le due presidenze di Lula si sono distinte soprattutto per la “Bolsa familia”, il programma con il quale è stato realizzato il progetto “fame zero” per dare pasti caldi a chi non se lo poteva permettere. Uno sguardo rivolto soprattutto alle classi meno abbienti, ma cercando di non sgambettare troppo i capitalisti. A livello internazionale Lula si lega alle forze più di sinistra dei vari Paesi e diventa molto amico dell’argentino Kirchner, del venezuelano Chavez e del russo Putin. Alla fine dei suoi mandati è ancora molto popolare in Brasile, anche se con la presidenza di Dilma Rousseff i problemi per il Partito dei Lavoratori si fanno seri: la presidente viene colpita da impeachment e l’ex operaio viene arrestato per corruzione. Diciotto mesi terribili che nel 2018 gli fanno perdere la possibilità di candidarsi contro Bolsonaro, cedendo il suo posto a Fernando Haddad, sconfitto per undici punti al secondo turno.

In carcere Lula conosce la sociologa Rosangela “Janja” da Silva, 21 anni più giovane, che l’aiuta a superare lo choc delle sbarre; lui se ne innamora e il 18 maggio scorso l’ha sposata. La prima moglie, l’italo-brasiliana Marisa Leticia Rocco Casa, era morta nel 2017. Con lei il nuovo presidente brasiliano aveva avuto tre figli; un quarto è nato fuori dal matrimonio dalla relazione con Miriam Cordeiro.

Nel 2020 la revisione delle sentenze da parte del Supremo Tribunal Federal ha ripristinato i suoi diritti politici e lo ha rimesso al centro della politica brasiliana. E Lula ne ha subito approfittato ed è tornato al Planalto dodici anni dopo. Per noi italiani il momento più basso del suo comando fu quando il 31 dicembre 2010, ultimo giorno della sua seconda presidenza, firmò il provvedimento con il quale concedeva il diritto d’asilo a Cesare Battisti, suo grande amico e sodale del ministro della Giustizia Tarso Genro. C’è voluto Michel Temer, predecessore di Jair Bolsonaro, per vedere in carcere in Italia il terrorista di Cisterna di Latina.