
Proteste contro il governo di unità nazionale di Tripoli. Manifestanti brucano una foto del primo ministro Abdulhamid Dbeibah (Afp via Ansa)
Se pensate che la crisi in Libia sia risolta dopo l’assedio al palazzo del governo di Tripoli, gli scontri a fuoco con e tra le milizie e il ritrovamento di 58 corpi in un ospedale vi sbagliate. La Libia, dove gli interessi italiani rimangono strategici, è una polveriera che può esplodere da un momento all’altro. Forze indefinite utilizzano i flussi migratori verso l’Italia come un’arma, li frenano e li aprono a piacimento. La situazione è altamente instabile, le milizie hanno eserciti che possono fronteggiare quello (fragile) ufficiale, il Paese è sempre diviso in due con il governo eletto a Tripoli e le forze del generale Haftar a Tobruk. Scenari impensabili per la realtà occidentale, ma non per il Nord Africa. Altri mondi. Ecco perché l’Europa e soprattutto l’Italia devono prestare massima attenzione al fronte Sud dove si intrecciano guerre tribali e interessi di Russia e Cina che lavorano dietro le quinte con truppe mercenarie e investimenti economici. Tempo fa anche su questo giornale (e in una audizione al Senato) ha lanciato l’allarme non il capo dei boy scout ma il capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Carmine Masiello. In questi giorni la Libia è appesa ad una fragile tregua, ma c’è il rischio che le milizie la sfruttino per riorganizzarsi.
I recenti disordini sono il risultato di contrasti più o meno espliciti tra l’esecutivo di unità nazionale guidato a Abdul Hamid Dbeibeh e alcune tra le più potenti milizie della regione, affiliate alle istituzioni locali ma con forte autonomia, bene armate e poco gestibili. In questo scenario si contrappongono gruppi armati come l’Apparato di supporto alla stabilità, la Brigata 444, la Al Radaa, tra le cui fila è presente Usama al-Masri, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità e protagonista della controversa vicenda giudiziaria che ha provocato tensioni tra L’Aia e il governo italiano. Tutti contro tutti. E il generale Haftar è pronto come un puma scattare sfruttando il caos contro il governo di Tripoli. Per ora ha mobilitato le truppe a Misurata. In Libia L’Eni è il principale produttore internazionale di gas con forte presenza nella ricerca e nell’esplorazione dei giacimenti. È un buon motivo affinché l’Italia non perda di vista l’impegno diplomatico in Nord Africa, cosa peraltro che la premier Giorgia Meloni sta già facendo.