Giovedì 18 Aprile 2024

Lady Huawei e la pena di morte al canadese Robert Lloyd Schellenberg

Ottawa contesta la sentenza di Pechino: "È una rappresaglia perché abbiamo arrestato l’erede del gigante telefonico"

Meng Wanzhou, 49 anni, con il braccialetto elettronico

Meng Wanzhou, 49 anni, con il braccialetto elettronico

Una guerra fredda tira l’altra. E ognuna di esse giorno dopo giorno si nutre di nuove tappe sempre più drammatiche che ne fanno elevare la tensione. Fra Cina e Canada tutto è cominciato il 1° dicembre 2018 quando Meng Wanzhou, 49 anni, figlia di primo letto di Ren Zhengfei, fondatore di Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni, è stata fermata all’aeroporto internazionale di Vancouver per una questione finanziaria e dopo l’interrogatorio è stata arrestata su richiesta degli Stati Uniti per frode in relazione a una presunta violazione delle sanzioni contro l’Iran.

Il tassello di ieri è solo apparentemente slegato a questo fatto: l’Alta corte popolare di Liaoning, città del Nordest, ha condannato a morte Robert Lloyd Schellenberg, accusato di avere smerciato 227 chilogrammi di metanfetamine. L’uomo – arrestato nel 2014 – in primo grado – dove era stato condannato a 15 anni di reclusione - si era difeso sostenendo di non sapere nulla del traffico di droga, di essere stato messo nel mezzo e di essere in Cina solo per turismo. Non è stato creduto e i suoi precedenti, diverse condanne per stupefacenti in patria, non lo hanno certo aiutato. Anzi. La giustizia di appello ci ha messo comunque due anni per emettere la sua sentenza, confermare la condanna del tribunale decretando addirittura l’esecuzione.

Adesso Schellenberg ripone l’ultima speranza di non essere giustiziato nella Corte suprema del popolo, ma le condizioni per un cambio di rotta sono ridotte al lumicino vista la motivazione della sentenza di secondo grado: "È stata costituita una Corte plenaria e ha ritenuto che i fatti accertati in primo grado fossero chiari, le prove attendibili e sufficienti. La pena di morte, quindi, è appropriata". Inutili le proteste di Ottawa. L’ambasciatore a Pechino, Dominic Barton, era in aula e ha chiesto subito clemenza "per una sentenza che è solo vendetta per il caso Huawei".

Anche l’Unione Europea ha posto dubbi sul "giusto processo". Le relazioni bilaterali fra i due grandi Paesi potrebbero peggiorare ancora di più oggi perché è attesa la sentenza di primo grado contro un altro cittadino canadese, Michael Spavor, un uomo d’affari sotto processo perché sospettato di spionaggio: secondo le autorità di Pechino i suoi contatti internazionali di lavoro sono stati usati per carpire informazioni riservate del gigante asiatico a favore dell’Occidente.

Il suo arresto in Cina, dove si trovava proprio per affari, è avvenuto, guarda caso, a dicembre 2018, pochi giorni dopo quello in Canada dell’alta funzionaria di Hauwei. La figlia del fondatore, infatti, ricopre il ruolo di vicepresidente e responsabile delle attività nel Nord America; Meng ha studiato e risiede nella British Columbia – la donna ha tre passaporti, compreso quello di Hong Kong - dove si trova ancora in stato di fermo in attesa che sia completato l’iter per l’estradizione richiesta dagli Stati Uniti, che ha deciso di incriminarla ufficialmente per furto di segreti commerciali, reato federale che prevede una pena massima di 10 anni. Spavor rischia invece la pena di morte come il suo connazionale. Pechino ha nelle sue carceri anche un altro canadese arrestato in quel tremendo dicembre 2018: l’ex diplomatico Michael Kovrig. Per lui si prolunga l’attesa nella palude del carcere preventivo. E se non è vendetta...