La strage che ha cambiato tutto. Il killer di Utoya osannato dai fanatici

Dieci anni fa Breivik massacrò 69 ragazzi spinto dall’odio. Non si è mai pentito e l’estrema destra ne ha fatto un idolo

Nella piccola isola di Utoya il 22 luglio 2011 si contarono 69 vittime

Nella piccola isola di Utoya il 22 luglio 2011 si contarono 69 vittime

Utoya è una piccola isola coperta di pini, trenta chilometri a nord di Oslo. Il nome è entrato nella storia, simbolo di morte, di una crudeltà con molte cause e senza un motivo. Come Hiroshima o le Torri gemelle di New York. Il luogo di una strage, con meno vittime, ma il male non ha una burocratica contabilità. A Utoya 69 morti, non è un record, nell’ottobre del 2017 a Sutherland Springs, in Texas, un giovane spara in chiesa, 28 morti, e poi si toglie la vita. Nell’ottobre del 2017, a Las Vegas, Stephen Paddock sparò raffiche sulla folla dal 32esimo piano di un hotel, 58 morti e centinaia di feriti, poi si tolse la vita. A Christchurch, in Nuova Zelanda nel marzo del 2019, un giovane australiano spara in due moschee, 49 morti, 48 feriti. Imitatori di Anders Behring Breivik, il killer norvegese? Non si può saperlo.

Quanto avvenne a Utoya il pomeriggio di dieci anni fa, il 22 luglio del 2011, è una cesura. Da allora tutto è cambiato, per chi ha paura e per i carnefici. Le giovani vittime di Utoya sono tragicamente diverse. Breivik è diventato un eroe nero per decine di gruppi di estrema destra in Europa, negli Usa, in Russia. Nella sede di neonazisti nel Baden-Würrtemberg in Germania hanno trovato un grande ritratto di Breivik, incorniciato, accanto a quello di Hitler, e la raccolta dei suoi scritti deliranti.

Breivik, 32 anni allora, non ha sparato all’impazzata intorno a sè, come altri prima di lui, come diversi suoi imitatori. Per un’ora e 15 minuti ha braccato le sue prede per la piccola isola, cercandole una a una, come un cacciatore che spari ad animali chiusi in una gabbia, non ha sprecato colpi, 167 proiettili e 69 vittime. I ragazzi si gettavano urlando, piangendo, o muti per il terrore, ai suoi piedi, imploravano la grazia. Come un angelo o un demone sterminatore, Breivik attendeva, poi li ha giustiziati, ma due volte li ha lasciati andare. Una grazia per capriccio. E al contrario di altri, alla fine non si è ucciso. Ha chiamato la polizia, si è arreso. In 1500 pagine diffuse prima della strage, ha spiegato i suoi motivi presunti: è di estrema destra, odia gli islamici. Idee confuse, motivazioni puerili.

Breivick fa paura, è diventato un simbolo, perché ha ucciso senza rabbia, solo per voler uccidere. I suoi genitori divorziarono quando aveva un anno, ma non è colpa loro. Anders studia senza voglia, non arriva a un diploma, vive di espedienti, ma è bravo anche nelle truffe: sembra che abbia guadagnato mezzo milione di euro vendendo falsi titoli accademici. Si avvicina ai gruppi di destra, odia i politici norvegesi che secondo lui hanno aperto le frontiere all’invasione islamica.

La sua azione è programmata da tempo, con minuzia. Alle 15,25 fa esplodere una bomba artigianale, 940 chili, nascosta in un piccolo bus nel centro di Oslo. I morti sono otto. Poi con un Fiat Doblo si dirige a Utoya, dove si tiene un campeggio giovanile organizzato dal partito socialista. Sono i ragazzi che Anders odia, bianchi come lui, o immigrati. Sbarca alle 17, con sè ha una sacca con mille proiettili. Vorrebbe uccidere anche la ex premier Gro Harlem Bruntland, ma è giunto in ritardo, la signora è già ripartita. Prima di entrare in azione diffonde in rete un video di 12 minuti, dal titolo Knights Templar, i cavalieri templari in cui sostiene di far parte di un gruppo nato a Londra.

Protetto da un giubbotto antiproiettile, comincia a sparare alle 17,25 e continuerà per un´ora e un quarto. Quando arriva un commando dell’esercito, chiama la polizia e si arrende. È un cavaliere, non un suicida. La prima perizia lo dichiara incapace di intendere e di volere, una seconda perizia lo ritiene perfettamente responsabile. Nell’agosto 2012, Breivik viene condannato a 21 anni, la pena massima per il codice norvegese. Ma la condanna potrebbe trasformarsi in una pena a vita, se i periti dovessero ritenerlo pericoloso, capace di tornare a uccidere. La giornalista Anne Seierstadt ha scritto un libro sul processo, ’Uno di noi’. "Lo guardavo e avevo paura – racconta – perché aveva un viso comune, sembrava uno dei miei vicini, poteva essere un mio amico, avevo paura perché era uno di noi". I superstiti sull’isola furono circa 480, alcuni scamparono a Breivick nascosti nelle grotte, altri si buttarono in mare e nuotarono verso il largo, uno annegò, un altro morí precipitando da una rupe. Sono scampati alle pallottole, ma la loro vita è rovinata per sempre, come è avvenuto per chi è stato sfiorato dalla morte l´11 settembre a New York. Kamzy Gaznaratam aveva 27 anni, si mise in salvo a nuoto, fu salvata da una barca. Era emigrata bambina dallo Sri Lanka con i genitori. Oggi è vicesindaco di Oslo. Beivrik le ha scritto una lettera di 22 pagine, in cui giustifica la sua azione. "Quando ho capito che era lui a scrivermi ho avuto un conato di vomito, mi è mancato il fiato". Ma gli ha risposto: "Tu volevi uccidere me, e devi dirmi il motivo". Kamzy aggiunge: "I miei genitori volevano che restassi al cento per cento tamil, io ho sempre voluto diventare norvegese al cento per cento… Quando entro in un locale, in un’aula, mi guardo intorno, cerco l’angolo dove fuggire". Utoya è per sempre.