La ribellione in Iran, proteste trasversali. "Ma gli ayatollah non rischiano"

L’analista Alcaro: il 25% della popolazione trae benefici dal regime, i bazar sono la cartina di tornasole

Una foto di Mahsa Amini durante delle dimostrazioni a Strasburgo (Epa)

Una foto di Mahsa Amini durante delle dimostrazioni a Strasburgo (Epa)

Teheran, 5 ottobre 2022 - "Per capire se le proteste di queste settimane in Iran si potranno trasformare in un qualcosa di più, bisognerà tenere d’occhio i bazar: sono sempre stati la cartina di tornasole del Paese". Per Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche e responsabile del programma ‘Attori globali’ dell’Istituto affari internazionali, gli ayatollah al momento mantengono una presa sicura sul Paese.

Leggi anche: Mahsa Amini, i medici iraniani: morta di malattia, non per le percosse

Spesso si pensa all’Iran come a un blocco monolitico, ma è davvero così?

"È un regime policentrico, i cui processi decisionali sono frutto di lunghi scontri e compromessi. Ma dopo il ritiro degli Usa nel 2018 dagli accordi sul nucleare, l’ala più oltranzista ha preso il sopravvento. Oggi i conservatori, che si sono saldati con il Deep State, ovvero i servizi segreti e di sicurezza, controllano tutte le istituzioni: la Guida suprema, il Consiglio dei guardiani, le guardie rivoluzionarie, la presidenza e il parlamento. È la prima volta in tanti anni che c’è un compattamento delle cariche così evidente. Questo spiega perché il regime sia diventato più repressivo".

Proteste in Iran, Khamenei incolpa Usa e Israele. Ancora disordini in università e scuole

Gli iraniani protestano solo per la morte di Mahsa Amini?

"Chi scende in strada è sostanzialmente contro la Repubblica islamica stessa, l’istituzione che dal 1979 ha preso il posto dello scià. Sono proteste sociali, culturali e politiche contro l’invasione della sfera privata, simboleggiata dall’obbligo per le donne di indossare il velo. Si protesta per la libertà di espressione, di stampa e più in generale per le condizioni socio-economiche, che non sono certo floride a causa delle sanzioni Usa e di un sistema altamente clientelare e sensibile alla corruzione".

Chi sta protestando?

"Un po’ tutti gli strati e le generazioni. L’Iran è un Paese che non può essere ridotto a una visione oscurantista dura e pura. La società è estremamente vibrante: le donne hanno un ruolo che in molti Paesi arabi nostri alleati si sognerebbero. La popolazione universitaria è per la maggior parte femminile. E poi c’è un altro fattore da considerare: la Repubblica islamica non è certamente popolare, ma non tutta l’opinione pubblica l’avversa".

In che senso?

"C’è una parte di popolazione che trae benefici dal regime. Non saprei quantificarla, forse parliamo del 20-25%. Queste persone, anche se magari non appoggiano tutte le decisioni, sentono comunque una certa affinità con politiche imbevute di valori islamici".

Le proteste possono davvero mettere in discussione il potere di Khamenei?

"Predire una rivoluzione è impossibile. Numericamente queste manifestazioni non sono massicce come quelle dell’autunno del 2019 e anche per questo il regime non sta applicando una politica di repressione brutale come tre anni fa. C’è coordinamento tra i gruppi, ma di natura spontanea. I manifestanti non potranno avere successo se non emergerà una figura di riferimento e se non convinceranno alla loro causa la maggioranza della popolazione. Ho seri dubbi che possa accadere, proprio per via della natura multiforme del regime, che intrattiene rapporti con una grande fetta della popolazione".

Non ci sono segnali?

"Bisogna tenere d’occhio i bazar. Quello di Teheran, che fu fatale allo scià, è ancora tranquillo. Nel Kurdistan iraniano, invece, sembra esserci qualche saldatura con i protestanti. Anche le fabbriche possono fornire indicazioni preziose. E comunque anche un regime nei guai non significa che crollerà".

Clicca sull'immagine per vedere la fotogallery sulle proteste contro il regime iraniano

Proteste a Roma contro il regime iraniano (Ansa)
Proteste a Roma contro il regime iraniano (Ansa)