
La protesta a Strasburgo degli studenti serbi, partiti da Novi Sad in bicicletta. Il grido: stop alla corruzione
Massi
Primavera è primavera, non ci sono dubbi. Lo dice il calendario. Che la stagione che abbiamo appena iniziato a vivere diventi anche serba molto dipenderà da come la strategia a tenaglia degli studenti farà presa su un Paese ripiombato di nuovo tra le ombre di un recente passato. Un passato che nemmeno l’accordo di Dayton (1995) è riuscito a esorcizzare o allontanare da un presente, in cui il vento nazionalista rappresentato da Vucic alla presidenza continua a soffiare forte. E se non ci fossero stati gli studenti, partiti da Novi Sad, dalla protesta per la pensilina della stazione crollata lo scorso novembre con relativi morti (15), per denunciare la corruzione in un governo (il cui premier Milos Vucevic si è dimesso alla fine di gennaio), probabilmente nemmeno ci saremmo accorti che i Balcani per motivi diversi – e per un passato che inevitabilmente torna – tornano a ribollire. E saremmo perfino recidivi. Perché più di trent’anni fa ci accorgemmo in ritardo di un Paese che si chiamava ancora Jugoslavia e che si stava disfacendo fino ad arrivare alle sanguinose guerre interrotte dall’accordo di Dayton. L’Europa allora restò pressoché silente e di certo immobile di fronte all’orrore di Srebrenica. Forse anche per questo gli studenti serbi hanno deciso d’inforcare le bici e da Novi Sad sono arrivati fino all’Europarlamento. Destinazione Strasburgo, confidando che non sia un capolinea.