Roma, 15 giugno 2025 – Ha riconosciuto fra i palazzi sventrati il quartiere in cui è nata ed è vissuta per nove anni, prima che i genitori decidessero che in Iran non c’era futuro, in Basilicata forse sì. E si è domandata perché Israele non abbia colpito i settori militari ma proprio lì, fra i grattacieli e i parchi che potrebbero essere Londra o Parigi, nelle strade dove si lasciano circolare la musica e la cultura e persino l’alcol, se si rimedia l’invito in certe case. Teheran Nord: un pezzo del suo cuore, sessanta vittime civili che vanno a riempirlo. Pegah Moshir Pour riflette sulla paura: da 46 anni cambia direzione ma resta sempre la stessa. Ha raccontato il suo Paese, le donne in lotta, una generazione nata sotto il terrore come quelle che l’hanno preceduta. È andata a Sanremo senza velo e brilla nella lista nera degli ayatollah, che dal 2019 aspettano di regolare i conti. Questa mamma di 35 anni mette a dormire il suo bambino e da lontano vede le colonne di fumo, capta i segnali degli amici quando internet lo consente.

Pegah Moshir Pour, cosa le raccontano?
"L’impazzimento generale, la tensione, il perenne stato di frustrazione. Ma è così dal ’79: laggiù le bombe non hanno mai smesso di esplodere e questa è solo una guerra sopra un’altra. Il tempo è passato, resta appiccicato al presente il senso di pericolo. Chi può permetterselo, e magari ha una seconda casa, scappa nei posti teoricamente meno pericolosi, lontano dalla capitale. Chi si fidava almeno della protezione del regime dagli attacchi esterni si è ricreduto, Ali Khamenei è al sicuro nel suo bunker e la gente va alla deriva. Il potere non vuole perdere visibilità ma non sa nemmeno quanti missili ha in cassa, quanto possono durare e chi sarà colpito domani".
E i neonati muoiono, nei quartieri benestanti di Teheran come nella polvere di Gaza già retrocessa a grana minore.
"Per quanto si voglia essere chirurgici, è facile sbagliare anche con il bisturi. In queste ore si sta cercando di dare un volto e un nome alle vittime ma la popolazione è stata diffidata dal pubblicare sui social quello che accade. Il regime continua a esercitare il terrore e non vuole i riflettori del mondo puntati addosso".
Sembra difficile. Ma l’opposizione potrebbe approfittarne.
"Bomba o non bomba, dal premio Nobel al rapper, all’attivista, le voci più rilevanti continuano a cercare giustizia per i troppi ragazzi imprigionati e impiccati. Questa è la loro guerra, non quella con Israele. Parola d’ordine: stiamo concentrati sulla lotta alla teocrazia, sulla disobbedienza civica. Liberiamoci da soli. Poi, certo, nessuno osa immaginare cosa potrebbe succedere se venissero colpiti i siti nucleari".
L’Iran minaccia di spalancare le porte dell’inferno e Israele per voi è da sempre il piccolo diavolo.
"Il regime fa il grosso, non è detto che lo sia. Israele mi fa ancora più paura da quando Netanyahu ha fatto suo lo slogan “Donna vita libertà“. Non gli appartiene, è delle donne curde e della democrazia. Non è con le bombe che si arriva prima alla libertà. Mi auguro che tutto si fermi al più presto perché andiamo dritti verso il baratro".