
Restano in Texas i venezuelani arrestati. Doccia fredda per l’amministrazione Trump
La Corte Suprema rovina la Pasqua a Donald Trump. Il massimo organo giurisdizionale degli Stati Uniti accoglie il ricorso dell’American Civil Liberties Union (Aclu) e ordina la sospensione delle deportazione in Salvador di una cinquantina di presunti esponenti di gang venezuelane, tutti agli arresti in Texas al centro detentivo di Ansons e già pronti all’imbarco per il supercarcere di Cecot. "Il governo ha l’ordine di non espellere alcun membro della presunta classe di detenuti dagli Stati Uniti fino a nuovo ordine di questa Corte", sta scritto nella stringata nota del più alto tribunale del Paese, pronunciatosi a maggioranza 7 voti contro 2, con plastico ribaltamento dei tradizionali schieramenti tra i 6 giudici di investitura repubblicana e i 3 di nomina democratica.
L’idea della Casa Bianca di bloccare i ricorsi sistematici di associazioni liberal e ong invocando l’Alien Enemies Act (Aea) del 1798, in precedenza utilizzato solo nel 1812 e durante le ultime guerre mondiali, registra così una temporanea battuta d’arresto sulla cui portata non ci si può ancora sbilanciare. L’Alien Enemies Act conferisce al presidente degli Stati Uniti poteri pressoché illimitati per espellere per direttissima soggetti ritenuti pericolosi senza espletare le normali procedure. Un’arma micidiale perché in grado di bypassare qualsiasi controllo di legittimità (specie in assenza di ricorsi). In una precedente sentenza dell’8 aprile, la Corte Suprema aveva stoppato il blocco dell’Aea disposto dal tribunale di Washington: mancanza di giurisdizione. Nonostante il giubilo della Casa Bianca, la Corte non era però entrata nel merito dell’utilizzo dell’Aea ed aveva anzi decretato che ai colpiti dall’ordine di espulsione fosse concessa la facoltà di ricorrere in giudizio. Il colpo di scena prepasquale della sospensione di 50 deportazioni dal Texas significa che il caso non è chiuso.
"Siamo profondamente sollevati dal fatto che la Corte abbia temporaneamente bloccato le espulsioni – rileva l’Aclu –. Queste persone rischiavano di passare il resto della loro vita in una brutale prigione salvadoregna senza aver mai avuto un processo". Sufficiente, nelle ultime settimane, la targa di "nemico" apposta da Trump. Adesso invece il provvedimento di espulsione dovrà "essere notificato entro un lasso di tempo ragionevole in modo tale da consentire di cercare una soluzione nella sede appropriata", queste le parole dell’Alta Corte. Secondo l’Aclu, tra i recenti deportati c’erano infatti colpevoli solo di eccesso di tatuaggi.
Emblematica la storia di Kilmar Abrego García, cittadino salvadoregno residente legale nel Maryland, ma deportato illegalmente, secondo i familiari, nonostante la protezione concessa per "rischio di tortura" in patria. È andata all’opposto. E l’ordinanza della Corte Suprema di facilitare il ritorno dell’uomo in Maryland non sta ricevendo applicazione. La giustificazione – strumentale – è che il migrante non sia più sotto custodia degli Stati Uniti. Storie come queste interrogano chi ha cuore i diritti costituzionali e proiettano formidabili attese sulla battaglia giudiziaria in corso. Lo stop momentaneo alle espulsioni rappresenta un duro colpo per Trump. L’ambizione di deportare un milione di migranti irregolari – nei Paesi d’origine o in Paesi terzi – entro il 31 dicembre 2025 appare già fuori misura. Per compensare le partenze a rilento del primo trimestre, le espulsioni per via aerea dovrebbero infatti salire ad almeno 4.000 al giorno per una media di 5-600 decolli al mese. Cifra assai lontana. Dai 100 voli speciali di gennaio si è passati ai 134 di marzo e nulla lascia pensare a un’impennata. Le decisioni di merito della Corte Suprema chiariranno lo scenario.