Roma, 31 maggio 2023 – “Queste tensioni servono a Belgrado ed ai kosovari delle due lingue per ricordare che la situazione in Kosovo è fragile, per prendere tempo e intanto farsi dare altri aiuti e cercare di ottenere il massimo nelle trattative, rinviandole ancora una volta a lungo. Siamo in una impasse, e l’Unione Europa ha le sue responsabilità”. Così Alessandro Politi, direttore della Nato Defence College Foundation ed ex consigliere politico della Nato Kosovo Force, paese che conosce a fondo”.
La protesta serba sembra continuare, gli albanesi non mollano, la Nato ha mandato rinforzi. La tensione in Kosovo resta e resterà alta. Di chi è la colpa?
“Innanzitutto il partito di maggioranza dei serbofoni del Kosovo è de facto un partito unico, e prende la linea da Belgrado. Belgrado ha chiaramente deciso di fare della questione un terreno di scontro e così pure il primo ministro kosovaro Kurti. Un nazionalismo alimenta l’altro ed entrambi servono a rinviare le scelte più complicate. Certo, sia Kosovo che Serbia, se vorranno entrare in Europa, certe decisioni dovranno prenderle; specialmente la Serbia, che invece finora lavora per aprire e chiudere dei capitoli di ammissione, alzando il più possibile l’asticella e rinviando tutta una serie di riforme, imprescindibili per l’ingresso in Europa, ma sgradite al governo”.
Cosa è successo dopo la trattativa del 27 febbraio a Bruxelles e i successivi accordi di Ohrid che sembravano vedere i due paesi decisi ad avviare un processo di normalizzazione dei rapporti?
"Il problema è che l’Unione Europea, che sino alla guerra in Ucraina aveva messo in un cassetto l’allargamento ai paesi dei Balcani, per paura che i russi potessero manipolare quella regione, ha ripreso il dossier e ha fatto pressione su Belgrado e Pristina per trovare un accordo. Una proposta franco-tedesca è diventata europea, e Bruxelles ha detto a Kurti e Vucic che, se non si fosse trovata un'intesa, avrebbero tagliato i finanziamenti. Minaccia seria, se attuata. Pristina e Belgrado hanno capito, trovando verbalmente un accordo. Ma dopo l’intesa di Ohrid, quando si trattativa di attuarlo, la pressione europea è purtroppo venuta meno e le due parti hanno fiutato l’aria, riprendendo a fare le stesse cose di prima e rimettendo in discussione alcuni punti per rinviare il tutto”.
Ed è scoppiata la guerra delle targhe.
“Hanno usato la prima ragione utile: la disputa sulle targhe serbe in Kosovo che Pristina chiedeva che fossero convertite in kosovare. In particolare i serbi hanno colto l’occasione per far dimettere tutti i rappresentati kosovari serbofoni nelle istituzioni, una gesto politico molto forte che ha annullato almeno cinque anni di lavoro d’inclusione per riportare le istituzioni parallele serbe, non solo i comuni ma anche scuola, giustizia e salute pubblica, dentro le istituzioni kosovare. E Kurti, di un partito molto nazionalista, a sua volta non ha fatto passi indietro. E così ha indetto le elezioni per sostituire i sindaci e i consiglieri dimissionari; elezioni che i kosovari serbofoni, in una escalation, hanno boicottato, creando il presupposto perché nei comuni serbi ci fossero sindaci albanofoni con il voto del 3,5% della popolazione. Oggi vorrebbero che non si insediassero, aumentando la tensione e rendendo inevitabili gli scontri di piazza. La Kfor, su richiesta di Pristina e della missione di polizia Eulex, si è interposta anch'essa per evitare guai anche più grossi”.
Adesso si paventa anche l'arrivo del gruppo Wagner...
“Il sito che ne da notizia è per ora una fonte isolata e peculiare. Se ne parlava già a dicembre e non risultava alle istituzioni internazionali. Sarebbe imprudente creare per Wagner l'aura di un noto servizio mediorientale: onnipresente e causa di tutto”.
Quali sono i punti chiave sui quali le parti sono divise? "E’ cruciale quella della creazione della comunità dei comuni serbi. Ora, mentre le istituzioni di Pristina vogliono che questa comunità sia meramente formale, un organismo consultivo con scarsi poteri, i kosovari del nord vorrebbero che si traducesse in una sorta di Alto Adige. Il che è ritenuto inaccettabile per le istituzioni in Kosovo. Nel 2017 Kurti mi disse: “La guerra in Bosnia è iniziata proprio da una associazione di comuni del genere, anche se non ci può essere una guerra grazie alla presenza della Kfor, questa associazione può destabilizzare“. Il governo non comprende che, senza una struttura di quel tipo, non difficilmente risolverà il problema della minoranza serbofona. I serbi non rinunceranno a questo punto (peraltro accettato da ambo le parti negli accordi di dialogo), come spera Pristina, e la tensione potrà cessare e poi ripartire un altro giorno".
E’ quindi l’allargamento dell’UE ai Balcani l’arma decisiva?
“Lo sarebbe. Anzi, è quel che si sta provando a fare dal 2013, con il problema che ci sono 5 stati che non riconoscono il Kosovo. Al presidente serbo Vucic è stato detto chiaramente che, se la Serbia vuole entrare in Europa, deve riconoscere il Kosovo. Ora, se la Serbia riconosce il Kosovo, a quel punto non hanno più ragione d'essere le riserve dei 5 stati europei e il caso si chiude. Purtroppo non sarà nè facile nè rapido arrivarci".