Roma, 16 giugno 2025 – In un Medio Oriente da sempre instabile, l’avversario che si sente storicamente minacciato di distruzione stavolta ha deciso di imboccare la strada della guerra per ridisegnare la geografia politica dell’area. Vincere o morire. Per Israele l’attacco all’Iran è la partita della vita, il percorso verso un nuovo equilibrio del Medio Oriente, una ‘New age’ con l’ombrello americano nel ruolo di garante. Dunque la strage di figure istituzionali, scienziati del nucleare e vertici dell’esercito e dell’intelligence fa parte di una fase che precede un’evoluzione definitiva sul piano bellico, ma anche politico. Nelle intenzioni di Israele si è giunti all’Armageddon, la battaglia finale, tra le forze del bene e quelle del male. Che farà l’Iran al di là dalle attuali ondate quotidiane di missili che non possono essere eterne? Per ora il regime resiste, si mostra solido. Molti analisti però sono convinti che Benjamin Netanyahu voglia far fuori Khamenei, mentre si parla di una possibile successione con figlio Mojtaba. Può farcela a breve? Possibile, anche se la leadership teocratica per ora si mostra ancora radicata, con l’appoggio della popolazione contaminata dal fanatismo religioso.

Il Paese degli ayatollah, che pure continua promettere vendetta, tremenda vendetta, si trova comunque davanti a un bivio. Deve decidere se insistere sul conflitto, invocando il martirio, oppure rinunciare all’opzione nucleare e alle dinamiche di guida a distanza dei proxy, indeboliti anche se non battuti: i miliziani di Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, gli Houthi in Yemen. Se cambia lo scenario in Iran ovvio che anche i guerriglieri diventano armi spuntate.
Andrea Margelletti, analista e presidente del Centro studi internazionali, ha un’opinione precisa. "Chiamiamo con il proprio nome questa fase: non sono raid, è una guerra. E se Israele vincerà, l’equilibrio del Medio Oriente è destinato a cambiare. Il mondo sciita, aggressivo e destabilizzante, verrà ridimensionato nel nuovo assetto. L’obiettivo del governo israeliano, dopo l’operazione militare, è provocare una rivolta interna che possa cacciare le Guardie della Rivoluzione. E per fare questo conta anche sulla sollevazione della borghesia, opposizione silente ma esistente".
Situazione diversa dalla Siria dove è caduto il regime di Assad e al comando è salita una fazione jiadista che si affanna a ripulire la propria reputazione. L’obiettivo di arrivare anche ad una insurrezione di popolo la si legge nelle recenti parole di Bibi Netanyahu, rivolte agli iraniani dopo la prima ondata di attacchi: "Il regime islamico che vi opprime da 50 anni minaccia di distruggere il vostro Paese". Nella ridda di notizie un ministro israeliano ha poi smentito l’obiettivo del rovesciamento del regime komeinista.
Ieri intanto è spuntata una notizia ufficiosa secondo cui funzionari dell’ufficio di Ali Khamenei – che nel frattempo è stato portato in un bunker sotterraneo nel nord-est di Teheran – starebbero trattando con i russi l’evacuazione, attraverso un “corridoio sicuro”, della Guida suprema e famiglia. Se cade il regime di Khamenei il pericolo sono le lotte intestine e il caos nella regione, eventualità vista come fumo negli occhi dall’Arabia saudita, avversaria degli ayatollah. Idem gli Emirati arabi che non vogliono l’escalation del conflitto per evitare danni economici. L’incertezza spaventa il mondo arabo moderato, il quale vuole smarcarsi da situazioni di conflitto cronico che incidono sullo sviluppo dell’area, come sottolinea anche Daniele Ruvinetti, senior advisor della Fondazione Med Or. Tutto vero, ma la caccia al bersaglio grosso Khamenei è aperta e Tel Aviv, che non lascia nulla al caso, ha già disegnato un piano del dopo – Ayatollah. Che per ora non rivela.