Nella narrazione dei rapporti tra Europa e Stati Uniti ci sono luoghi comuni persistenti. Il primo è quello della innata simpatia e benevolenza statunitense nei confronti dell’Europa, dell’Atlantico. è proprio così? Dopo Truman ed Eisenhower inizia l’era di Kennedy, il più europeo dei presidenti Usa. Ma non mancarono gli attriti
Roma, 23 settembre 2024 – Quando si parla di presidenti statunitensi ci sono poche certezze, ma se si parla di John Fitzgerald Kennedy si può scommettere che l’opinione prevalente è quella che lo considera "il presidente" statunitense più celebre e celebrato della storia. Un mandato breve, il suo. Entrato in carica nel gennaio 1961 venne ucciso a Dallas nel novembre del 63; una morte tuttora accompagnata da misteri e punti oscuri sulla dinamica dell’attentato.
Fu sicuramente il presidente culturalmente più vicino alla tradizione europea. Il suo rapporto col Vecchio continente venne anche plasticamente celebrato da un viaggio in Irlanda poco dopo la sua elezione. Una delle sue principali preoccupazioni fu quella di organizzare la collaborazione militare con gli europei in maniera efficiente, proponendo – senza successo – una "forza multilaterale", anche con capacità nucleare, che però venne respinta al mittente dagli europei, i quali preferirono l’autogestione dei loro asfittici apparati militari. Da questo punto di vista, non si può certo dire che il principio delle economie di scala abbia mai fatto presa sui vertici politici e militari della vecchia Europa, neppure oggi.
Kennedy animò gli anni più noti della guerra fredda: difese Berlino ovest e la sua particolare posizione, affogata nel pieno del territorio della Germania est, dalle brame di Khruscev; gestì con successo e con piglio intelligente la crisi dei missili a Cuba, evitando l’escalation del conflitto anche a costo di un peggioramento sensibile dei suoi rapporti con le gerarchie militari statunitensi. Le sue azioni, celebrate da libri, cinema, fumetti, sono entrate nella narrazione comune, eppure ci sono anche ombre nella sua azione come presidente. Incrementò il numero dei consiglieri militari nel Vietnam del Sud, ponendo le basi per "la sporca guerra" che poi venne gestita dal suo successore, Lyndon Johnson; mantenne inoltre un atteggiamento molto guardingo, e molto poco entusiasta, nei confronti delle prospettive dell’allargamento della Comunità economica europea, che si consolida proprio durante il suo mandato.
Nell’agosto 1961, infatti, la Gran Bretagna, osservando il successo della CEE, comincia a premere per il suo ingresso nel "club" europeo. Nello stesso mese, Kennedy fa una richiesta per iscritto al suo staff: vuole sapere quali sono i termini, e le possibili conseguenze economiche e commerciali per gli Stati Uniti, di un’eventuale adesione britannica alla CEE. La Gran Bretagna all’epoca aveva ancora un set significativo di relazioni commerciali col resto del mondo e la sua entrata nella CEE avrebbe rappresentato un incremento significativo nel volume complessivo degli affari europei.
La preoccupazione di Kennedy era anche politica, in vista di un secondo mandato: "se vi dovesse essere un effetto avverso per gli interessi statunitensi – si legge nel memorandum di Kennedy al suo staff – una buona dose di responsabilità verrebbe lasciata davanti alla nostra porta". E lui, sottinteso chiaramente, non la voleva questa responsabilità. L’attentato di Dallas risolse il problema in maniera cruenta. Il vicepresidente Lyndon Johnson si ritrovò presidente, avvolto nella nassa vietnamita; quando le ostilità con il Vietmin crebbero, Johnson chiese la cooperazione degli europei allo sforzo militare ricevendo in cambio un gentile e fermo "no, grazie".
L’amministrazione gestì da sola il conflitto (il presidente soleva dire che "questa guerra mi ha colto come un acquazzone su una strada del Texas coglie un autostoppista"), cercando con fatica di attuare il programma interno della "Great Society", welfare e diritti civili, pensando poco ai problemi europei. L’Europa continuò a crescere economicamente all’ombra della distratta tutela statunitense, con qualche sogno francese di grandeur: fu de Gaulle a fermare l’ingresso britannico nella CEE, negandolo fino al 1969. La strada verso la maturità dei rapporti con Washington era ancora lunga e difficile.