Lunedì 9 Settembre 2024

Iran, Armita Geravand è morta dopo 28 giorni di coma. La 16enne picchiata perché non indossava il velo ora spaventa l’ayotallah Khamenei

Una nuova Masha Amini, tenuta in vita per volontà delle autorità, nonostante la morte cerebrale, per evitare che il caso facesse esplodere ancora la rabbia del movimento “Donna, vita, libertà”

Teheran, 28 ottobre 2023 - Armita Geravand è morta, la 16enne picchiata dalla sorveglianza nella metro di Teheran il primo ottobre perché non indossava il velo si è spenta dopo 28 giorni di coma. La giovane era, come Mahsa Amini, una vittima scomoda della rigida repressione del regime iraniano, un'altra scintilla che minacciava di incendiare le piazze del Paese, e per questo motivo sembra che lo stesso ayotallah Ali Khamenei avesse chiesto di tenerla in vita il più possibile, nonostante la morte cerebrale fosse sopraggiunta il 22 ottobre.

"Il cervello di Armita in questo momento non funziona e non c'è speranza per la sua guarigione", aveva scritto sui social io giorno dopo il padre. Subito il governo di Teheran aveva negato questa versione cercando di frenare l'indignazione per il tragico destino della giovane, affermando che la giovane non era stata aggredita per il velo, ma era svenuta a causa di un calo di pressione sbattendo violentemente la testa. Una versione puntualmente smentita dai video che sono circolati in rete.

Ma le autorità iraniane hanno fatto anche di più impedendo alla madre Shahin Ahmadi di entrare all'ospedale Fajr della capitale per vedere la figlia, le cui condizioni erano disperate. E dopo le sue proteste la donna era stata anche trattenuta in custodia.

Khamenei voleva Armita viva perché, come nel caso di Mahsa 'Jina' Amini, la 22enne curda arrestata dalla polizia morale perché indossava male l'hijab e morta dopo le percosse subite nel centro di reclusione, la morte della 16enne può far scoppiare la rabbia del movimento che dal settembre 2022 scende in strada al grido di 'Donna, vita libertà'.

La repressione è durissima e colpisce i manifestanti in piazza, ma anche la stampa: Due giornalisti sono stati incarcerati per aver seguito la vicenda della morte di Mahsa Amini, e condannati: Elaheh Mohammadi dovrà scontare cinque anni di reclusione per complotto contro la sicurezza del Paese più un anno per propaganda contro la Repubblica islamica, e il fotoreporter Niloufar Hamedi.

La comunità internazionale però ha raccolto il grido delle donne iraniana, come con il premio Sacharov 2023 per la libertà di pensiero conferito a Mahsa Amini, e al movimento di protesta che ne è scaturito. Ma soprattutto con il Nobel per la Pace vinto il 6 ottobre dall'attivista iraniana Narges Mohammadi, arrestata 13 volte, condannata cinque e con un totale di 31 anni di carcere da scontare per le sue lotte in favore delle donne.

Amnesty International nel report di agosto 2023 denunciava l’uccisione di "centinaia di manifestanti" e "migliaia di arrestati, minorenni compresi". Molti sono stati sottoposti "a torture, inclusa la violenza sessuale, durante la detenzione: alcuni di loro sono stati messi a morte al termine di processi gravemente irregolari". Ciò nonostante l'indignazione è grande, e il costante deterioramento dei diritti nel Paese sciita fa crescere la protesta popolare sempre di più.

I genitori non possono seppellire Armita dove vogliono

L’ultimo affronto della autorità è stato il divieto ai genitori di trasferire il corpo della figlia: "Le istituzioni di sicurezza dell'Iran hanno informato la famiglia di Armita Garavand che non hanno il permesso di trasferire il suo corpo a Kermanshah (Kermashan)". Lo denuncia arriva dalla ong Hengaw, che per prima ha diffuso notizie sulla giovane iraniana Armita Garavand. Un parente della famiglia ha detto a Hengaw che "le agenzie di sicurezza hanno espresso l'intenzione di seppellire il corpo di Armita a Behesht Zahra, Teheran", provocando "una forte reazione da parte della famiglia Garavand".