Ucraina, il ruolo italiano nella guerra: "Divisi sulle armi, così gli alleati ci snobbano"

Il politologo Parsi: "Contiamo meno degli altri Paesi, troppa ambiguità sugli aiuti militari. La premier e Crosetto spingono, ma la maggioranza non è coesa. Lamentarsi è dannoso"

La professione di fede atlantista e filoucraina di Giorgia Meloni non è sufficiente per sedere ai tavoli che contano. "E lamentarsi con chi esclude l’Italia è solo controproducente". La vede così Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali alla Cattolica di Milano. "Il ruolo dell’Italia? Dipende dai fatti, non dalle parole", dice. E in guerra i fatti si chiamano armi.

Professor Parsi, Zelensky ha parlato di un "accordo segreto" siglato a Parigi con Macron e Scholz. Si può ipotizzare l’oggetto?

"L’espressione “accordo segreto” è un po’ infelice. Ad ogni modo, si tratta del sostegno militare ed economico-finanziario all’Ucraina".

Washington, Londra, Parigi, Bruxelles: ha un senso gerarchico oltreché cronologico la scaletta delle trasferte di Zelensky?

"Senza dubbio. Ricalca l’ordine dei Paesi che più hanno aiutato il governo ucraino. Stati Uniti e Gran Bretagna su tutti, poi gli altri. La premier italiana Giorgia Meloni e il ministro della Difesa, Guido Crosetto, si spendono molto, ma la coalizione di governo non è così coesa".

È per questo che Zelensky va a Parigi e non a Roma?

"È scoppiato il finimondo per l’annuncio di un video-messaggio di Zelensky a Sanremo, immaginate cosa accadrebbe se il leader ucraino venisse di persona in Italia. Siamo un Paese nel quale il proprietario dell’azienda concorrente della Rai (Pier Silvio Berlusconi, ndr), nonché figlio di un ex premier che con Putin ha stretto una calorosa amicizia, si è permesso di dire che si sentirebbe “turbato“ dalla partecipazione del presidente ucraino al Festival".

Meloni ha definito "inopportuna" l’esclusione dell’Italia dal vertice di Parigi. Perché Macron e Scholz hanno deciso di tenere platealmente fuori uno dei Paesi cardine della costruzione europea?

"Perché l’Italia non è in grado di tenere una posizione salda e ha uno status internazionale differente. Conta meno della Francia, che siede nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma anche della Germania, che può vantare la sua potenza economica. Con il Trattato del Quirinale abbiamo provato a minimizzare le conseguenze di questo status, ma poi il governo ha fatto volare gli stracci per poche decine di migranti. Siamo proprio fessi".

Con Mario Draghi a Palazzo Chigi sarebbe successo lo stesso?

"Assolutamente no. Draghi godeva di credibilità internazionale e aveva la capacità di dettare la linea a un maggioranza molto composita. Per questo lo hanno fatto fuori".

Qual è oggi il ruolo internazionale dell’Italia?

"Più o meno quello di sempre. Nella parentesi del governo Draghi il nostro Paese ha goduto di un margine di manovra più rilevante nella scacchiere internazionale. L’impatto avuto dall’ex premier si può paragonare a quello di un grande artista che dà lustro a un teatro scalcagnato".

L’atlantismo sbandierato da Meloni non migliora la nostra credibilità internazionale?

"Bisogna riconoscere l’attivismo della presidente del Consiglio, ma è insufficiente se Salvini e Berlusconi non perdono occasione per mandare messaggi in senso opposto. Mettiamola così: l’allineamento atlantista è il minimo sindacale".

L’economista russo Guriev sostiene che Putin ha un problema con l’Italia, poiché contava su una maggioranza che considerava amica per minare l’unità europea. È così?

"Esattamente. C’è un pezzo dell’opposizione che è apertamente ostile all’Ucraina, e due terzi della maggioranza lo sono intimamente. Infine c’è un’opinione pubblica nutrita quotidianamente da un sistema mediatico che le fa credere di poter rimanere ’a casetta’ senza preoccuparsi di quanto accade non lontano da noi".

Il ministro Tajani, peraltro, proprio ieri ha negato la concessione di caccia all’Ucraina. La partita degli aiuti militari incide sul ruolo del nostro Paese?

"Sicuramente. Non forniamo mezzi corazzati, inviamo poche armi e in tempi lenti".

Macron fin dall’inizio del conflitto è stato il leader europeo più favorevole a un dialogo con Putin. Eppure questo non ha compromesso il rapporto con Zelensky.

"Al di là di tutto la Francia non ha mai fatto mancare il contributo militare. E, quanto al rapporto con Mosca, non ha mai mostrato ambiguità".

Il vertice Ue-Ucraina a Bruxelles prelude a un salto di qualità per quanto concerne il coinvolgimento europeo nel conflitto?

"Non credo. Penso piuttosto che sia stata ribadita la linea del sostegno all’Ucraina fino alla fine".

L’Europa può incidere sul negoziato o l’iniziativa è nelle mani degli Stati Uniti?

"Conta cosa accade sul campo di battaglia. L’unico linguaggio che capisce Putin è quello delle armi".