Giovedì 18 Aprile 2024

Il cardinale: preparatevi all’esodo degli affamati

L’allarme dell’africano Nzapalainga: "La crisi del grano spinge i prezzi alimentari, prevedo rivolte e l’assalto ai confini dell’Europa"

Secondo l’associazione Oxfam, in Africa 1 persona su 5 soffre di denutrizione

Secondo l’associazione Oxfam, in Africa 1 persona su 5 soffre di denutrizione

La crisi del grano è la spada di Damocle sul futuro del continente africano. Quanto sta accadendo in Ucraina ha fatto già schizzare il prezzo delle materie prime in territori poverissimi - per ActionAid il 42,7% dei Paesi indigenti si colloca nell’Africa subsahariana - e rischia di avere "ripercussioni imprevedibili" sulla tenuta sociale di aree di per sé instabili come sulla portata dei flussi migratori. Della "polveriera africana" parla il cardinale Dieudonné Nzapalainga, balzato alle cronache internazionali per aver inaugurato nel 2015, al fianco di papa Francesco, il Giubileo della misericordia dalla basilica di Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana di cui è arcivescovo. Campione del dialogo interreligioso e della riconciliazione - il 55enne ha dato alle stampe in questi giorni il libro ‘La mia lotta per la pace’ -, l’alto prelato denuncia la disparità di trattamento fra la giusta attenzione internazionale data al destino di Kiev e il disinteresse diffuso sui mali del Continente nero.

Quali ripercussioni sta avendo il conflitto in Ucraina sui paesi africani?

"Il prezzo delle forniture alimentari sale in continuazione, è il caso dello zucchero, dell’olio, della farina. Ma anche delle materie prime indispensabili per costruire le case. Se si toglie il pane a milioni di persone, ci possono essere delle rivolte".

Prevede anche un deciso incremento dei flussi migratori verso l’Italia?

"C’è un’espressione francese che dice: una pancia affamata non ha orecchie. La fame può spingere la gente ad andare dove c’è da mangiare. Visto che in questo caso il granaio si trova in Francia, in Germania o in Italia, in centinaia di migliaia possono anche prendere il rischio di morire nel deserto e nel mare, pur di avere una speranza per lavorare e mangiare. La gente ha bisogno di concime per fertilizzare i campi e, come sappiamo, queste materie prime arrivano dall’Ucraina. Gli agricoltori senza niente da coltivare possono arrivare anche a ribellarsi contro il governo democraticamente eletto e produrre degli sconvolgimenti tali da avere ripercussioni planetarie".

Come si stanno preparando le Chiese africane a simili evenienze?

"Noi vescovi del Centrafrica stiamo dicendo che quella ucraina è una crisi lontana che però ha delle conseguenze nelle nostre regioni. Abbiamo chiesto ai cristiani di prendere in mano il loro destino ovvero di non aspettarsi tutto dall’estero: il cristiano è chiamato a essere sale e luce del mondo per trasformare la società, con senso di condivisione e di responsabilità. Chi è più ricco deve iniziare a condividere quel che ha in nome della sua fede. Come Chiesa dobbiamo essere profetici".

Gli europei si sono lanciati in una grande gara di solidarietà verso gli ucraini che non trova corrispettivo sul versante dell’accoglienza dei profughi africani. Che cosa ne pensa, era prevedibile?

"La solidarietà deve essere un valore universale, non deve guardare il colore della pelle, la religione, il continente di provenienza. Ora, noi assistiamo a una solidarietà a geometria variabile: quando è il caso dell’Europa, si trova il posto per i rifugiati".

Con la guerra fra Kiev e Mosca la questione africana è scivolata in un cono d’ombra ancora più profondo?

"La vicenda ucraina ha occupato uno spazio enorme nell’attenzione mediatica e nei dossier della politica. Perché non ci si mobilita allo stesso modo per i popoli africani? Chiediamo una mobilitazione uguale anche per le tante crisi dimenticate del nostro continente".

Lei è un pilastro della riconciliazione: in Ucraina si sta facendo abbastanza in tal senso?

"Gli artigiani di pace devono alzarsi in piedi e dire no alla guerra. Ma dove sono questi artigiani di pace? Dove sono i diplomatici, gli storici, i filosofi, i sociologi? Io sento parlare solo di via militare, di inviare più armi e basta. Eppure sappiamo che dopo ogni guerra c’è sempre un trattato di pace. Perché non si usano i mezzi finanziari e i soldi destinati agli armamenti per trovare soluzioni di pace?".