Per approfondire:
Il sesto pacchetto di sanzioni europee resta al palo. Colpa dell’Ungheria che rifiuta l’embargo sul petrolio. Vicinanza con Putin? Probabilmente sì, ma anche questioni più materiali: "È una scelta che oltrepassa la linea rossa. Sarebbe come una bomba atomica sull’economia ungherese", avverte il premier Viktor Orbàn. In effetti la dipendenza di Budapest dall’oro nero di Mosca è enorme. E si porta dietro alcuni paesi nella stessa condizione come la Bulgaria o la Slovacchia. Il quadro sin qui non è molto diverso da quello della Germania che boccia il blocco del gas per motivi identici. Ma il leader ungherese è mosso anche da intenti politici e lo dice chiaramente: "Questa non è la nostra guerra. È la guerra tra Ucraina e Russia". Se l’Ungheria è apertamente l’anello debole del fronte anti-russo, ed altri governi sono o sono stati sospettati di tentazioni analoghe – per giorni Zelensky ha bersagliato Berlino per questo – molto più complesso il caso dell’altro paese ’sorvegliato speciale’, ossia il nostro. È vero che all’inizio del conflitto il premier Draghi era stato molto prudente su ritorsioni come l’esclusione delle banche russe dal sistema Swift per proteggere la ripresa italiana. Ma già dai primissimi giorni l’Italia si è schierata senza titubanze sulla linea rigida indicata tanto da Washington quanto dalla von der Leyen: rifornimento d’armi e disponibilità a "qualsiasi sanzione la Ue deciderà di adottare". Dunque a quell’embargo sul gas che per l’Italia sarebbe appena meno pesante della Germania. E allora perché non si riesce a dissipare una coltre di diffidenza mai esplicitata e tuttavia palpabile? Motivi ce ne sono. L’opinione pubblica per esempio: dubbi ci sono in tutta Europa, ma in nessun paese forti come in Italia, dove un pezzo di pacifismo sia laico che cattolico si salda con un pezzo di anti-americanismo. Da giorni i sondaggi evidenziano ...
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