La mossa della Bielorussia: tregua per fermare l’escalation. "È solo l’ultimo bluff di Putin"

Lo storico Aldo Ferrari sulla proposta di Lukashenko che vuole congelare la situazione sul campo. "Mosca sa di non poter avanzare ancora nel Donbass. Così si terrebbe le aree finora occupate"

“Diciamo che il Cremlino ha mandato avanti Lukashenko per sondare il terreno con una proposta di pace che sostanzialmente è funzionale agli interessi di Mosca e con la quale spera di accreditare la tesi che Washington e Kiev sono guerrafondai mentre la Russia vuole metter fine alla guerra".

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Così lo storico Aldo Ferrari, direttore del programma Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’Ispi e docente all’università Cà Foscari di Venezia. Ieri il dittatore bielorusso Lukashenko, parlando al Paese, ha detto che "l’Occidente vuole invaderci" e che, dopo aver dato il via libera al ridispiegamento nel suo paese di atomiche tattiche russe, è pronto ad usare le armi nucleari "per difenderci". Ma ha anche chiesto una tregua. "C’è una sola strada – ha affermato – per uscire dalla crisi: negoziati. Negoziati senza precondizioni, prima che inizi l’escalation" e quindi ha proposto "una tregua senza il diritto di spostarsi, raggruppare le forze di entrambi i Paesi, senza il diritto di spostare armi e munizioni, militari ed equipaggiamenti: congelare la situazione per tutti". Proposta che il Cremlino ha rifiutato, anche se, ha riferito il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, "sarà sicuramente discussa" la prossima settimana, quando il presidente russo Vladimir Putin e Lukashenko si vedranno.

Come interpretare la mossa di Lukashenko?

"Tenderei ad escludere che Lukashenko abbia pronunciato un discorso di questo genere senza essersi consultato precedentemente con Putin. Credo che in questa proposta ci sia un gioco delle parti tra lui e il Cremlino, anche perché quello che chiede il presidente bielorusso, una sospensione dei combattimenti con congelamento sulle posizioni attuali, farebbe il gioco di Mosca, che certamente in questo conflitto non ha raggiunto i suoi obiettivi iniziali ma che se conservasse le zone che ha occupato militarmente avrebbe comunque ottenuto un importante obiettivo: garantirsi un collegamento terrestre tra Crimea e Donbass. E con il pubblico russo potrebbe rivendicare l’operazione come una vittoria. E quindi, è sì una proposta di pace, ma sostanzialmente favorevole alla Russia".

Che probabilità c’è che il piano possa essere accolto?

"Sospendere le operazioni in una posizione di forza relativa per Mosca vorrebbe sostanzialmente dire che la Russia si terrebbe quel che controlla, al massimo potrebbe retoricamente rinunciare alle parti delle quattro regioni annesse che non controlla. Il riconoscimento ai russi dei territori conquistati sarebbe inaccettabile per Kiev e per chi sostiene l’Ucraina. E Mosca ne è consapevole".

Quindi quale è il senso dell’operazione?

"Non so quanto la Russia sia preoccupata dall’arrivo dei nuovi rinforzi occidentali e di una possibile controffensiva ucraina, ma Mosca sa che non può conquistare l’Ucraina, cambiarne il governo, arrivare ad Odessa, forse neppure prendere tutto il Donbass. E capisce che accontentarsi di quanto preso sinora sarebbe saggio, è spendibile al proprio interno per mantenere il consenso e, anche se ragionevolmente la proposta fallirà, è utile come combustibile per la retorica antioccidentale e per minare la coesione dei Paesi Nato mostrandosi come quella che fa il primo passo verso la pace".

Se la proposta Lukashenko è destinata a cadere nel vuoto, che prospettive ci sono per la fine della guerra?

"La guerra finirà quando lo decide Washington, non Mosca. Bisognerà trattare prima o poi, ma non sarà Lukashenko a dire quando. La volontà dell’Ucraina dipende dall’aiuto occidentale, se Biden decidesse che il gioco non vale la candela, Kiev sarebbe costretta a scendere a più miti consigli. Ma sino ad allora, i combattimenti continueranno".