"Giornalista italiano? Non entri". Se anche l'Ucraina ha paura della stampa

Gli 007 di Kiev al confine con la Polonia: scendete dal treno, siete nella lista nera. La psicosi sicurezza

Medyka (Polonia), 17 febbraio 2023 - "Tu, giornalista, il tuo nome è nella black list dei servizi, ci hanno detto che non puoi entrare in Ucraina. Non sei gradito. Prendi le tue cose e seguimi". Il soldato pronuncia le parole in inglese, per un attimo il mio cervello si rifiuta di comprendere, spera che sia solo umorismo militare. "Avanti, giù dal treno". Nessuna ironia, dal vagone alla caserma e poi scortato indietro fino alla frontiera di Medyka.

Il cronista Salvatore Garzillo racconta la guerra in Ucraina
Il cronista Salvatore Garzillo racconta la guerra in Ucraina

Lo scorso 14 febbraio, in piena notte, mentre attraversavo in treno il confine polacco per raggiungere Kiev in vista dell’anniversario del 24, ho scoperto di essere un bandito. O meglio, di essere bandito per 5 anni dall’Ucraina, un Paese che seguo dall’inizio della guerra nel 2014, che ho percorso dall’ovest all’estremo est, dove nel solo 2022 ho trascorso due mesi senza sosta dal giorno successivo all’invasione, documentando anche per questo giornale dalla resistenza di Leopoli alle trincee di Sjevjerodonec’k nel profondo Donbass, e ancora più avanti nelle "catacombe" di Avdiïvka, dove gli ucraini vivono sottoterra a cento metri dalle linee russe. E come me (e meglio di me) tanti altri bravissimi colleghi e fotoreporter come Andrea Sceresini e Alfredo Bosco, che dieci giorni fa, mentre erano di ritorno dal fronte di Bakhmut (dove hanno realizzato un reportage per Rai3), hanno ricevuto la notifica di sospensione dell’accredito giornalistico da parte del ministero della Difesa ucraino. Non un dettaglio da poco, senza quel pezzetto di carta – che gli era stato regolarmente rilasciato nel marzo 2022 – rischiano di essere arrestati al primo posto di blocco.

Fonti del governo italiano ci informano che al momento sono almeno 8 i giornalisti italiani nella stessa situazione, tra ritiro dell’accredito e respingimento all’ingresso, tutti nella black list del servizio di sicurezza Sbu (Służba Bezpieczeństwa Ukrainy). Cosa sta succedendo in Ucraina? Un paese che prova con coraggio e tenacia ad entrare in Europa e che poi attiva una lista di proscrizione come fossimo avversari o filorussi. L’unico titolo che sventolo con orgoglio è quello di cronista. Non è sempre facile esserlo ma è una guida per mantenere salde onestà e dignità. Cose che questa lista calpesta senza rispetto dell’impegno e dei rischi che tutti noi abbiamo accettato di affrontare con l’unica intenzione di raccontare all’Italia e al resto del mondo (siamo tutti freelance e collaboriamo anche con testate straniere) l'orrore e l'assurdità di una guerra a poche ore di auto dal resto dell’Europa "sicura".

I motivi di questo respingimento non sono stati comunicati, non c’è modo di saperlo. "Siete sbagliati, punto". E a nulla valgono i tanti attestati di stima e riconoscenza della popolazione ucraina, i premi per aver difeso la libertà di stampa, i proclami congiunti con le autorità italiane. Tra pochi giorni la premier Meloni sarà a Kiev in segno di solidarietà a un Paese che tiene alla porta i suoi connazionali a cui viene riconosciuta professionalità e serietà. Chissà se lo farà presente mentre si parla degli aiuti da inviare. Intanto le ambasciate e i vertici del governo sono stati informati della situazione ma tutto tace.

Capiamoci, sappiamo meglio di tanti che i Paesi in guerra seguono regole di autotutela che vanno oltre i binari della democrazia. Però l’Ucraina deve sapere che sta sbagliando mira e che sta usando uno strumento di persuasione pericoloso perché obbliga ad andare oltre la cronaca (che basta e avanza per mostrare le atrocità che sta subendo) e costringe i giornalisti a seguire il dettato nazionale. Questa black list è pericolosa perché l’Ucraina, che ha paura della propaganda filorussa (dalla quale con forza ci dissociamo e ci manteniamo distanti) rischia di ritrovarsi giornalisti disposti a tutto per restare. Ma questa non è informazione, è comunicazione, e la comunicazione non la fanno i cronisti.