Ancora bombe su ospedali e scuole di Gaza, ritenute dalle forze di difesa israeliane (Idf) luoghi usati da Hamas per nascondere armi e effettivi. Sono almeno 50 le persone rimaste uccise nei raid aerei israeliani messi a segno all’alba di ieri contro la scuola al-Fakhura, gestita dall’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), nel campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza. Lo ha detto un funzionario del ministero della Sanità di Hamas, che ha denunciato che un altro attacco su un edificio separato nello stesso campo di Jabalia ha ucciso 32 persone della stessa famiglia, la famiglia Abu Habal, 19 dei quali minori. Secondo l’emittente qatariota al Jazeera, le vittime degli attacchi aerei al campo di Jabalia sarebbero in totale ben 200.
Il portavoce delle Idf, Peter Lerner, ha detto di "non poter confermare che questo incidente sia delle Idf, ma stiamo vedendo le immagini sui social e stiamo indagando". Dure le proteste delle agenzie umanitarie delle nazioni unite, delle ong, oltre che di molti Paesi. "I rifugi – ha commentato Martin Griffiths, sottosegretario generale per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti di emergenza del’Onu – sono un luogo di sicurezza. Le scuole sono un luogo di apprendimento. Sono tragiche le notizie di bambini, donne e uomini uccisi mentre si rifugiavano nella scuola di al-Fakhura. I civili non possono e non dovrebbero più sopportare tutto questo".
Vittime civili si registrano anche in altre parti di Gaza. Almeno 26 persone sono morte e altre 23 sono rimaste ferite in un attacco aereo lanciato la scorsa notte da Israele contro tre edifici a Khan Younis, nel sud della Striscia dove Israele sta intensificando gli attacchi anche perché ritiene che proprio nei tunnel di Khan Younis sarebbero nascoste le due principali figure di Hamas a Gaza: il capo politico Yahya Sinwar e il capo del’ala militare Mohammed Deif.
Secondo Hamas i palestinesi che sono stati uccisi nei bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza dall’inizio della guerra il 7 ottobre sarebbero 12.300 e 30.000 sarebbero i feriti. Ma Idf, le forze di difesa israeliane, continuano senza sosta la loro offensiva in una Gaza City ormai circondata, e nella quale gli israeliani avanzano nel quartiere centrale di Zeitoun e verso Jabalia oltre ad aver ordinato l’evacuazione dell’ospedale di al Shifa avvenuta in un paio d’ore. Nella struttura si troverebbero ormai solo 120 feriti gravi e dei neonati nati prematuri, assistiti da un centinaio di sanitari.
Cresce intanto la pressione su Netanyahu perché accetti uno scambio che porti alla liberazione dei 240 ostaggi in mano ad Hamas. Circa trentamila persone si sono radunate fuori dagli uffici del premier israeliano a Gerusalemme al culmine della marcia iniziata nei giorni scorsi per chiedere al governo maggiori impegno nel riportare immediatamente a casa gli ostaggi. "Abbiamo camminato per cinque giorni senza fermarci e mi fanno male le gambe , ma niente fa male come il cuore – ha detto Orin, la madre di Eden Zacharia, che è tenuto in ostaggio in Gaza – se avremo bisogno di camminare fino a Gaza, lo faremo. Ovunque dovremo andare andremo, non rinunceremo ai nostri figli".
In serata ha parlato anche il premier Netanyahu. "Io – ha detto riferendosi alla manifestazione svoltasi a Gerusalemme sotto il suo ufficio – marcio con voi. Tutto il popolo di Israele marcia con voi. Comprendiamo la vostra sofferenza e l’incubo che vivete, ma fino ad ora nessun accordo è stato raggiunto sugli ostaggi, ma quando ci sarà lo diremo subito". La sua linea dura non cambia. "Siamo determinati a combattere fino alla vittoria. Il primo obiettivo è distruggere il nemico, il secondo liberare gli ostaggi, il terzo far sì che e Gaza non possa tornare a rappresentare una minaccia per noi".