Venerdì 11 Luglio 2025
MARTA OTTAVIANI
Esteri

Trump allarga l’Atlantico. Al G7, le big tech Usa schivano la tassa globale

Il politologo: il tycoon è eurofobico. Dazi e difesa, solo schiaffi all’Ue. Del Pero: ha una strategia neo imperiale. Intesa sulla Global minimum tax, ma le aziende americane vengono esentate

Donald Trump (78 anni), presidente degli Stati Uniti d’America

Donald Trump (78 anni), presidente degli Stati Uniti d’America

Roma, 29 giugno 2025 – Vittoria per Donald Trump e le big tech Usa. Le sette maggiori economie al mondo hanno raggiunto un accordo per evitare che le più grande aziende a stelle e strisce paghino più tasse all’estero, per un risparmio di circa 100 miliardi di dollari di tasse all’estero. La mossa potrebbe radicalmente modificare l’accordo sulla tassa minima globale del 2021, che sarà discusso nelle prossime settimane all’Ocse. Soddisfatto il ministro dell’economia e delle Finanze italiano, Giancarlo Giorgetti, che ha definito l’accordo un “onorevole compromesso”.

“Protegge le nostre imprese dalle ritorsioni automatiche degli Usa”, ha dichiarato. Il ministro si riferiva alla cosiddetta ‘revenge tax’, un emendamento alla legge di spesa di Trump che avrebbe consentito agli Stati Uniti di rivalersi contro tasse all’estero ritenute discriminatorie. Venerdì il presidente americano era tornato a minacciare l’Unione europea: “Con la digital tax l’Ue non ne uscirà bene”. “L’Ue è stata molto ingiusta con noi - ha detto – è nata per danneggiare l’America”. “Fanno costantemente causa alle nostre aziende, Apple, Google. È molto sgradevole, ma gli europei impareranno”.

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Per Trump, l’Ue, nella migliore delle ipotesi, è un competitor da tenere sotto controllo. Mario del Pero, professore di Storia Internazionale e Storia degli Stati Uniti a Sciences Po, spiega perché, in un momento di frammentazione internazionale, negli Usa c’è anche una visione eurofobica.

Donald Trump ha definito l’Ue «peggiore della Cina». È solo retorica elettorale?

“C’è una componente di retorica, ma non solo. Trump si muove in maniera estrema, nel suo stile, ma nel solco della cultura politica della destra americana che ha radici profonde ed è antieuropea, a volte anche eurofobica. Questa componente nel mondo Maga è abbastanza centrale e non riguarda solo Trump, ma altri esponenti come Vance. E poi in una visione quasi neo imperiale delle relazioni internazionali, l’atlantismo come l’abbiamo conosciuto fino a questo momento è scomparso. L’Ue, come il Canada, si propone come un soggetto che vuole fare politiche che danneggiano interessi economici Usa, legati al mondo Maga”.

L’imposizione di nuovi dazi contro l’industria europea è un tentativo di riequilibrare la bilancia commerciale o un modo per ottenere vantaggi negoziali più ampi?

“Anche qui direi entrambe le cose. Trump ha una visione molto basica delle relazioni internazionali, dove attivi e passivi dei bilanci commerciali mostrano chi è più forte. Penso però che i dazi servano a Trump come leva di pressione per ottenere altro e nel dossier transatlantico il primo interesse è non tassare gli interessi Usa, l’altro è che ci sia un disaccoppiamento economico dalla Cina”.

DEL PERO
Il politologo Mario del Pero

Fra minaccia dei dazi e pressioni sulla Nato, si può parlare di una strategia americana coerente di riorganizzazione delle alleanze?

“Per usare un’espressione semplice, quello di Trump è uno schema neo imperiale dove il mezzo è la forza in un sistema di relazioni internazionali dove ormai non ci sono più le norme e le istituzioni. In questo schema, una gran parte di Europa ricade sotto gli schemi americani e deve sottostare ai diktat. Uno schema portato avanti con metodi da ’padrino’, perché sono agli effetti quelli utilizzati”.

Con un presidente così non è azzardato aderire al programma per aumentare al 5% del Pil le spese per la Difesa, di cui peraltro beneficeranno soprattutto le industrie americane?

“Io credo che il 5% sia del tutto irrealistico. Va poi tenuto conto che non è il 5% ma un 3,5% a cui si aggiunge un 1,5% di non ben definiti investimenti infrastrutturali. Ma anche solo il 3,5 è tantissimo. Credo abbia una valenza più simbolica che altro, per placare le ire del presidente”.

Al netto di tutto l’Ue è percepita a Washington come un concorrente da indebolire.

“Credo ci sia una chiara crisi delle regole e dei codici dell’atlantismo, di lunga durata, di cui si parlava già 20-25 anni fa. Biden ha cercato di ridare forza e senso strategico alla Nato, anche perché viviamo in un’epoca di sovranismi e nazionalismi. C’è una fase di anti-internazionalismo, che colpisce la destra come la sinistra. C’è poi quella componente eurofobica di cui parlavamo all’inizio e che oggi è molto forte”.