epa10390203 Portuguese President Marcelo Rebelo de Sousa (C-L), Polish President Andrzej Duda (C-R), Lithuanian President Gitanas Nauseda (2-R) and Spanish Emeritus Queen Sofia (R) attend the funeral ceremony of Pope Emeritus Benedict XVI (Joseph Ratzinger) in Saint Peter's Square, in Vatican City, 05 January 2023. Former Pope Benedict XVI died on 31 December 2022 at his Vatican residence, at the age 95.  EPA/Radek Pietruszka POLAND OUT

Da destra il presidente lituano Nauseda e il polacco Duda (Ansa)

Roma, 6 gennaio 2023  - Metti sopra il minuendo, metti sotto il sottraendo e ottieni il risultato della sottrazione. Metti sopra le delegazioni arrivate "spontaneamente" a Roma per i funerali di Benedetto XVI, metti sotto le uniche invitate dal Vaticano (tedesca e italiana), e ottieni la geografia di chi ha voluto mostrare di più la propria vicinanza al papa tedesco e alla sua memoria. Tra tutte, spicca l’Europa di Visegrad, rappresentata dal presidente polacco Andrzej Duda, da quello ungherese Katalin Novak, dai primi ministri della Repubblica Ceca Petr Fiala e della Slovacchia Eduard Heger. L’Ungheria ha addirittura raddoppiato, prevedendo a Roma la presenza (già da martedì) del premier Orban. Niente a che vedere dalla rappresentanza degli altri grandi paesi europei, che nella maggior parte hanno inviato figure minori (la Francia il ministro dell’Interno, la cattolicissima Spagna l’ex regina Sofia, la Gran Bretagna un segretario di stato).    Ora siccome niente avviene a caso, è evidente leggere nella massiccia presenza di Visegrad un tentativo di identificazione di quell’Europa con Bendetto XVI, ritenuto un papa conservatore, e quindi, per default, più vicino ai paesi che fanno della tradizione un valore fondante. Con Benedetto XVI e la sua memoria, e ciò che di lui sopravvive e sopravviverà. Polonia e Ungheria sono due grandi nazioni cattoliche, in cui da sempre l’identificazione tra nazionalismo è cattolicesimo è presente (in Polonia già prima di Wojtyla capitava di vedere la bandiera nazionale issata all’interno delle chiese, inconcepibile da noi) ma che con le attuali leadership scelgono il cattolicesimo tradizionalista come piattaforma culturale sulla quale appoggiarsi. Il punto è però comprendere se il cattolicesimo di Ratzinger, al di là delle forme dottrinali certamente meno "progressiste" di quelle di Francesco, sia riconducibile a quell’idea di Europa. A prima vista è lecito dubitarne. Benedetto XVI è stato davvero un papa europeo, non tanto per la nascita e gli studi, quanto per la cultura europea che ha proposto nel suo pontificato. Nell’idea che la ragione e la fede siano conciliabili, che la fede sia il rifiuto di ogni forma di violenza e si esercita anzi attraverso la libertà ci sono le basi della civiltà europea come l’abbiamo conosciuta nei secoli, anche attraverso i momenti più bui. I fascismi e i comunismi che al cristianesimo si opposero ferocemente e che furono poi sconfitti, non a caso, con il contributo fondamentale dei cristiani. Ecco, tutto questo, quello che Benedetto XVI disse a Ratisbona nel 2006, poi al parlamento tedesco nel 2011 e in altre occasioni, ha poco a che vedere con l’isolazionismo egoista di Visegrad. Appena eletto papa, Joseph Ratzinger scelse il nome Benedetto per affinità con Benedetto da Norcia, patrono dell’Europa e primo grande santo europeo. E’ a quell’Europa che Ratzinger si è riferito nel tempo, non facendosi scrupolo di ripetere un messaggio che in molti stati avevano voluto ignorare, quando nel 2004 rifiutarono di inserire il rimando alle "radici cristiane" nel progetto di Costituzione europea. E qui arriviamo al rovescio del discorso, ossia alla distanza esibita da altri (pensiamo alla Francia) sia verso il papa europeo sia a quanto da lui detto circa il comune destino tra cristianità e Vecchio continente. In molti preferiscono il "progressismo" di Bergoglio senza però ricordare che Francesco ha di fatto snobbato l’Europa (dei 56 paesi visitati in dieci anni non c’è nessun grande paese europeo) proprio in un momento in cui l’Europa vive una fase di delicato passaggio sconfitta sotto il peso del proprio "pensiero debole", la coscienza europea si va affievolendo presso gli stessi cittadini e l’Europa fatica a rispondere all’assalto di entità geopolitiche e culturali che non lasciano respiro: il mercatismo cinese, il nazionalismo russo, la spregiudicata aggressività turca e, non scordiamolo, l’assalto islamista. Ecco, probabilmente di fronte all’estremismo contro la "ragione" degli iraniani che censurano Charlie Hebdo, di fronte alle prepotenze di Putin contro le libertà che già Sant’Agostino invocava e che Ratzinger ha sempre difeso, probabilmente un po’ più del "pensiero forte" di Benedetto XVI farebbe comodo. A meno di non volerlo regalare a Orban, che poi lo usa come meglio crede e stende il filo spinato di fronte ai migranti.

Esteri

Roma, 6 gennaio 2023&nbsp; - Metti sopra il minuendo, metti sotto il sottraendo e ottieni il risultato della sottrazione. Metti sopra le delegazioni arrivate "spontaneamente" a Roma per i <a href="https://www.quotidiano.net/cronaca/funerali-papa-ratzinger-diretta-1.8432304" target="_blank">funerali di Benedetto XVI</a>, metti sotto le uniche invitate dal Vaticano (tedesca e italiana), e ottieni la geografia di chi ha voluto mostrare di più la propria vicinanza al papa tedesco e alla sua memoria. Tra tutte, spicca l’Europa di Visegrad, rappresentata dal presidente polacco Andrzej Duda, da quello ungherese Katalin Novak, dai primi ministri della Repubblica Ceca Petr Fiala e della Slovacchia Eduard Heger. L’Ungheria ha addirittura raddoppiato, prevedendo a Roma la presenza (già da martedì) del premier Orban. Niente a che vedere dalla rappresentanza degli altri grandi paesi europei, che nella maggior parte hanno inviato figure minori (la Francia il ministro dell’Interno, la cattolicissima Spagna l’ex regina Sofia, la Gran Bretagna un segretario di stato). 
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Ora siccome niente avviene a caso, è evidente leggere nella massiccia presenza di Visegrad un tentativo di identificazione di quell’Europa con Bendetto XVI, ritenuto un papa conservatore, e quindi, per default, più vicino ai paesi che fanno della tradizione un valore fondante. Con Benedetto XVI e la sua memoria, e ciò che di lui sopravvive e sopravviverà. 
Polonia e Ungheria sono due grandi nazioni cattoliche, in cui da sempre l’identificazione tra nazionalismo è cattolicesimo è presente (in Polonia già prima di Wojtyla capitava di vedere la bandiera nazionale issata all’interno delle chiese, inconcepibile da noi) ma che con le attuali leadership scelgono il cattolicesimo tradizionalista come piattaforma culturale sulla quale appoggiarsi. 
Il punto è però comprendere se il cattolicesimo di Ratzinger, al di là delle forme dottrinali certamente meno "progressiste" di quelle di Francesco, sia riconducibile a quell’idea di Europa. A prima vista è lecito dubitarne. Benedetto XVI è stato davvero un papa europeo, non tanto per la nascita e gli studi, quanto per la cultura europea che ha proposto nel suo pontificato. Nell’idea che la ragione e la fede siano conciliabili, che la fede sia il rifiuto di ogni forma di violenza e si esercita anzi attraverso la libertà ci sono le basi della civiltà europea come l’abbiamo conosciuta nei secoli, anche attraverso i momenti più bui. I fascismi e i comunismi che al cristianesimo si opposero ferocemente e che furono poi sconfitti, non a caso, con il contributo fondamentale dei cristiani. Ecco, tutto questo, quello che Benedetto XVI disse a Ratisbona nel 2006, poi al parlamento tedesco nel 2011 e in altre occasioni, ha poco a che vedere con l’isolazionismo egoista di Visegrad. 
Appena eletto papa, Joseph Ratzinger scelse il nome Benedetto per affinità con Benedetto da Norcia, patrono dell’Europa e primo grande santo europeo. E’ a quell’Europa che Ratzinger si è riferito nel tempo, non facendosi scrupolo di ripetere un messaggio che in molti stati avevano voluto ignorare, quando nel 2004 rifiutarono di inserire il rimando alle "radici cristiane" nel progetto di Costituzione europea. 
E qui arriviamo al rovescio del discorso, ossia alla distanza esibita da altri (pensiamo alla Francia) sia verso il papa europeo sia a quanto da lui detto circa il comune destino tra cristianità e Vecchio continente. In molti preferiscono il "progressismo" di Bergoglio senza però ricordare che Francesco ha di fatto snobbato l’Europa (dei 56 paesi visitati in dieci anni non c’è nessun grande paese europeo) proprio in un momento in cui l’Europa vive una fase di delicato passaggio sconfitta sotto il peso del proprio "pensiero debole", la coscienza europea si va affievolendo presso gli stessi cittadini e l’Europa fatica a rispondere all’assalto di entità geopolitiche e culturali che non lasciano respiro: il mercatismo cinese, il nazionalismo russo, la spregiudicata aggressività turca e, non scordiamolo, l’assalto islamista. Ecco, probabilmente di fronte all’estremismo contro la "ragione" degli iraniani che censurano Charlie Hebdo, di fronte alle prepotenze di Putin contro le libertà che già Sant’Agostino invocava e che Ratzinger ha sempre difeso, probabilmente un po’ più del "pensiero forte" di Benedetto XVI farebbe comodo. A meno di non volerlo regalare a Orban, che poi lo usa come meglio crede e stende il filo spinato di fronte ai migranti.

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