Afghanistan, Frattini boccia il fronte aperturista. "Non si può trattare con i talebani"

L’ex ministro degli Esteri: "Serve un piano di aiuti umanitari per non abbandonare il Paese ai miliziani"

Franco Frattini, 64 anni, due volte ministro degli Esteri nei governi Berlusconi

Franco Frattini, 64 anni, due volte ministro degli Esteri nei governi Berlusconi

"Io i talebani li conosco bene", premette Franco Frattini, che è stato ministro degli Esteri nei governi Berlusconi, e con loro ha avuto a che fare per lungo tempo. "E proprio perché li conosco, quando sento l’alto rappresentante della Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, dire “bisogna trattare con chi ha vinto“, vedo 50 donne sgozzate la mattina dopo", taglia corto l’attuale presidente aggiunto del Consiglio di stato e della Sioi.

Quindi nessuna trattativa?

"Trattare con i talebani è una negazione in termini. Prima di tutto, hanno sempre finto di farlo, e poi sono divisi in tribù diverse: non c’è un capo o un gruppo che può imporre l’abbandono delle armi. Ma, alla base, ci impedisce di trattare l’inconciliabilità assoluta dei valori. Noi siamo l’Occidente, crediamo nella rule of law, lo stato di diritto. Loro sono invece per rule of gun, la legge del fucile".

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Fallita l’opzione militare, quale strada resta?

"La comunità internazionale deve mettere assieme tutti gli Stati che hanno interessi vitali in Afghanistan, ovvero Russia, Cina, America, Iran, Paesi sunniti arabi, con un pizzico di Europa, e offrire un grande piano di aiuti umanitari per impedire l’abbandono dell’area nelle mani dei miliziani. Bisogna puntare sui milioni di pashtun che non sono talebani, sugli hazara, gli uzbeki, i tagiki. Su coloro che, cioè, come ha annunciato il figlio del leone del Panshir, Ahmad Massoud, sono pronti a combattere per la libertà. Dimostri loro che li aiuti sul serio e dividi il fronte, blindando il Nord che è la parte più difficile da raggiungere per i talebani. Se interverremo così, se, come ha detto il presidente Draghi, faremo un G20 straordinario per lanciare proposte, daremo una risposta meno irrealistica di chi vuole trattare. E credo che la presidenza italiana del G20 avrà un ruolo fondamentale".

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È realistico un intervento comune di un fronte così ampio?

"Sì. Ognuno ha un interesse da difendere: dalla Russia che teme si destabilizzi l’Asia centrale alla Cina che, pur adocchiando le risorse minerarie dell’Afghanistan, ha paura che le fibrillazioni arrivino in Pakistan".

Ma ora cosa può fare l’Occidente per mitigare il rigore dell’integralismo verso le donne?

"Zero. Serve una coalizione internazionale che dica chiaro e tondo ai talebani che oltre certi limiti non possono andare. Serve un programma serio, duro e soprattutto condizionato. Serve che Cina e Russia, non certo l’America che l’ha combinata grossa, vadano da chi non è talebano a dirgli: vi aiutiamo, pronti però a tagliare i fondi se li date ai miliziani. Questo discorso a nome del G20 si può fare; quando sento che a breve si riunirà un G7 penso che bisogna essere un po’ fuori di testa per far qualcosa senza la Russia".

Ce la vede l’America in un ruolo di secondo piano?

"Il presidente Biden ha la leadership per far tornare l’America a fare l’America. Mi sento un Amerikano con la kappa, per dirla con Cossiga, e mai avrei pensato che l’America non solo annunciasse trionfalmente con Trump d’aver raggiunto un accordo con i talebani ma dichiarasse pure la data precisa del ritiro, puntualmente rispettata dal presidente attuale, dando modo ai miliziani di prepararsi a prendere il Paese".

Insomma, non pensa che il nuovo regime sia "distensivo" come dice Conte.

"Non commento le parole di un ex premier, ma quello che ho detto mi sembra chiaro".

Teme una recrudescenza del terrorismo?

"Da un lato, il Pentagono ci ha raccontato che i talebani mantengono rapporti con Al Qaeda, e dall’altro il Daesh opera tuttora in alcune aree dell’Afghanistan: oggi i miliziani non hanno la forza di sferrare l’attacco, ma da qui a qualche anno tutto può succedere. Ecco perché dobbiamo intervenire".

A proposito: come si può salvare chi ha collaborato in questi anni con l’Occidente?

"Si tratta di migliaia di persone che l’Occidente sta cercando di salvare con il ponte aereo che, naturalmente, va protetto con armi e aerei militari".

E per quanto riguarda gli altri che vogliono fuggire dal Paese?

"Possiamo fare poco. Molti tenteranno di venire qui, ma pochi ce la faranno: devono attraversare le zone più pericolose del mondo per arrivare al Mediterraneo. Sarà un dramma umanitario. Sarebbe essenziale fare un corridoio umanitario ma un conto è un ponte aereo per qualche migliaio di collaboratori, un altro per due o tre milioni di persone. Dove li mettiamo? Torno al punto: agiamo sul posto".