Francesi in rivolta contro Macron. L'economista: "Non è pigrizia, vogliamo vivere"

L’economista e psicanalista Corinne Maier: "Il presidente? Si comporta come un capo d’azienda altezzoso. Ma sta perdendo la battaglia, non è riuscito a convincere nessuno"

"Stiamo attraversando una crisi politica annunciata dal disinteresse crescente della gente per il voto. I problemi economici, il disastro ambientale, la guerra in Europa, la pandemia e soprattutto la mancanza di visibilità a breve termine creano un forte disagio che in Francia può trasformarsi facilmente in rivolta contro l’autorità". È il parere di Corinne Maier, economista, scrittrice e psicanalista che secondo la Bbc figura tra le cento donne più influenti del mondo. Iconoclasta, "eroina della contro-cultura" secondo il New York Times , è diventata famosa per il pamphlet Bonjour paresse ("Buongiorno pigrizia", tradotto il 30 lingue) in cui spiega perché è indispensabile oggi lavorare il meno possibile.

Le proteste contro la riforma delle pensioni hanno infiammato la Francia
Le proteste contro la riforma delle pensioni hanno infiammato la Francia

I francesi scioperano contro una modifica del regime pensionistico, due anni di lavoro in più, che il resto d’Europa ha già approvato da un pezzo. Avete già le 35 ore e tutta una panoplia di regimi speciali privilegiati: come mai siete così pigri?

"Non è esatto dire che i francesi sono pigri. In termine di ore lavorano forse meno degli altri, ma in modo più intenso e con risultati più che buoni. Il problema è che non hanno voglia di lavorare più a lungo di quanto si era stabilito".

Perché? Il lavoro è sgradevole?

"Spesso lo è. Molti non accettano più di fare lavori che non amano e che oltretutto sono mal pagati. Ma soprattutto ci si è resi conto che dedicare troppo tempo al lavoro significa farsi portar via un pezzo importante di vita privata. C’è una crisi profonda della società, non sappiamo dove stiamo andando e perché, l’ascensore sociale non funziona, il sistema in cui viviamo si sta deteriorando. Ecco allora che la crisi economica si avvita a quella politica".

Però l’impressione che abbiamo è che nel mirino adesso ci sia Macron, più che la riforma pensionistica. Da voi c’è sempre la cultura del conflitto, prima la Rivoluzione francese, poi il Maggio 68, quindi i gilet gialli… Siete sempre pronti a tagliare la testa al Re… Non c’è da stupirsi se anche Carlo d’Inghilterra gira alla larga dalla Francia…

"La cultura del conflitto può dare ottimi risultati: la Storia lo insegna. Quanto a Macron, il problema è che gestisce la Francia come fosse un’impresa. Ha sposato uno stile aziendale che considera le persone come pedine da muovere come si vuole su una scacchiera. Lo dimostra il suo stesso linguaggio: decido io, faccio io, mi assumo io tutte le responsabilità… È il gergo altezzoso di un capo d’azienda. Questo lo rende estremamente impopolare".

Pensa che abbia perso la battaglia?

"La sta perdendo. A parte gli scioperi che non sappiamo quanto dureranno, a parte la scelta di affidarsi al 49.3 per far passare la legge senza voto, il che è un segno di debolezza perché non è riuscito a convincere la gente, e lo ha ammesso lui stesso, la grande domanda che ci poniamo è: come farà a governare nei prossimi 4 anni? Non ha una maggioranza su cui appoggiarsi e ha perso moltissimo in termini d’immagine. Non basta: può anche accadere che il Consiglio Costituzionale bocci punti importanti della riforma, svuotandola della sua sostanza. Il che significherebbe ricominciare tutto daccapo".

Chi può profittare della debolezza di Macron? Jean-Luc Mélenchon o Marine Le Pen?

"Mélenchon no, perché la gauche è divisa e molti non amano il suo stile da tribuno. Marine Le Pen forse, perché ha saputo dare un’immagine meno diabolica del suo partito: ma è stata rifiutata svariate volte al momento fatidico, non ha in Europa l’accettazione di cui gode Giorgia Meloni".

Dunque, resta solo Macron…

"Chi l’ha detto? Non è l’unico politico al mondo, ci sono sicuramente personaggi di valore, oggi nell’ombra, che possono uscire allo scoperto".

Intanto però la Francia resta isolata, unico paese europeo in cui si susseguono le manifestazioni di protesta, unico in cui si marcia per lavorare meno.

"Non è vero, ci sono movimenti di protesta in Spagna, in Inghilterra, in Olanda, in Grecia. Non sono forti come in Francia, ma questo malessere che stagna ovunque potrebbe aggregarsi a livello globale. Il fatto è che sta cambiando rapidamente il concetto stesso di lavoro: il telelavoro conseguente alla pandemia ha dato la prova che molte regole possono essere cambiate. Sarebbe stupido non tenerne conto".