
Scambio di embrioni in Australia durante una fecondazione in vitro
Roma, 11 aprile 2025 – Desiderare così tanto un figlio, tanto da ricorrere alla fecondazione in vitro, per poi scoprire che quello che si è dato alla luce non è, almeno biologicamente parlando, il proprio bambino. Questo è l'incubo vissuto da una donna in Australia, alla quale è stato impiantato l'embrione di un'altra coppia.
È successo nella clinica specializzata Monash IVF di Brisbane, che si è scusata specificando che l’inconveniente è stato dovuto a un "errore umano". "A nome di Monash IVF, voglio esprimere il mio sincero dispiacere per quanto accaduto – le parole dell'amministratore delegato Michael Knaap, riportate dalla Cnn –. Continueremo a supportare i pazienti in questo momento estremamente angosciante". Si tratta di un errore rarissimo in Australia, Paese che secondo l'esperto di fertilità Alex Polyakov è "riconosciuto a livello internazionale per il suo rigore e la sua completezza" nel campo della fecondazione in vitro.
La scioccante verità è emersa a febbraio, quando la coppia vittima dell'errore ha chiesto alla clinica di trasferire gli embrioni rimanenti in un'altra struttura. Ma all'inizio del procedimento, i sanitari si sono accorti che all'appello c'era un embrione in più: quello che pensavano fosse stato impiantato.
Non si hanno dettagli sulle identità delle persone coinvolte, né sul chi al momento abbia la custodia del bambino. Tuttavia, la legge dello stato del Queensland riconosce come genitore di un neonato colei che lo ha partorito (e il suo eventuale partner), piuttosto che coloro a cui il piccolo corrisponde biologicamente. Tuttavia, non essendoci una legislazione in materia, i genitori 'biologici' potrebbero intentare una causa per richiedere la custodia del piccolo, in quanto non hanno espresso il proprio consenso alla procedura.
Monash IVF assicura che si è trattato di un errore isolato, ma non è la prima volta che questa catena di cliniche si trova nell'occhio del ciclone. L'anno scorso ha firmato un accordo di 56 milioni di dollari australiani (circa 30,5 milioni di euro) per porre fine a una disputa con più di 700 ex pazienti che accusavano le loro strutture di avere un approccio superficiale sui falsi positivi nei test sugli embroni, portando potenzialmente all'eliminazione di esemplari perfettamente sani.