Venerdì 11 Luglio 2025
Sofia Sanchez Manzanaro, Thomas Moller-Nielsen, Cesare Ceccato – Euractiv
Europa

Il riavvicinamento Ue-India è destinato a fallire?

La ragione principale per cui Unione europea e India si stanno riavvicinando, ovvero l’ascesa economica e politica della Cina, è anche il suo principale ostacolo

Il ministro degli Affari Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen

Il ministro degli Affari Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen

Negli ultimi mesi, Unione europea e India si sono trovate sostanzialmente d’accordo nel riconoscere che la crescente diffidenza verso Pechino ed il suo strapotere economico sono alla base dell’ambizioso rilancio delle reciproche relazioni politiche, commerciali e finanziarie.

Durante la visita a Nuova Delhi all’inizio dell’anno – la prima visita all’estero dopo la nomina a Presidente della nuova Commissione europea – Ursula von der Leyen ha parlato di “venti contrari geopolitici e geoeconomici” come di un’opportunità storica per costruire un “partenariato indivisibile” tra l’Unione e la quinta economia mondiale.

Anche il ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar, in visita di stato a Bruxelles, ha dichiarato a Euractiv che la spinta europea a “de-rischiare le catene di approvvigionamento” dovrebbe incoraggiare entrambe le parti a concludere l’accordo di libero scambio fermo da oltre un decennio al tavolo delle trattative.

Tuttavia, secondo numerosi analisti, la strategia europea di ridurre la dipendenza cinese attraverso un “pivot” verso la sfera indiana rischia di scontrarsi con vari ostacoli: basso livello di industrializzazione, forte protezionismo e una burocrazia ancora soffocante.

“L’India può davvero sostituire la Cina? La risposta rapida è no – almeno non nel breve termine,” ha dichiarato Niclas Poitiers, ricercatore del think tank Bruegel.

Nonostante gli interscambi commerciali Ue-India siano cresciuti del 90% nell’ultimo decennio, raggiungendo quota 180 miliardi di euro annui, rappresentano solo il 20% del valore degli scambi UE-Cina.

L’India con 1,4 miliardi di persone ha superato – seppur di poco – la Cina quale paese più popoloso al mondo, ma il suo PIL è ancora inferiore a un quarto di quello cinese.

Secondo Goldman Sachs, le proiezioni indicano che fino al 2075 l’economia indiana sarà più piccola di quella cinese, nonostante una crescita più rapida.

La Cina resta saldamente il fulcro dell’industria globale: produce l’80% dei pannelli solari e produce ed esporta il 90% delle “terre rare” raffinate.

Secondo l’ONU, la quota dell’India nella produzione industriale mondiale crescerà dall’attuale 2% al 3% entro il 2030 – quella cinese dal 30% al 45%.

“Non credo che l’India diventerà la nuova fabbrica del mondo. È troppo tardi: la Cina è troppo radicata”, ha spiegato Sony Kapoor, direttore del Nordic Institute for Finance, Technology and Sustainability. Kapoor, che è di origine indiana, riconosce però che vi sono validi motivi – commerciali, geopolitici e strategici – per rafforzare il partenariato tra Bruxelles e Nuova Delhi, soprattutto in ambiti come i servizi e l’integrazione di giovani istruiti e sottoutilizzati.

“Tuttavia, se l’obiettivo dell’UE è soprattutto de-rischiare le catene di approvvigionamento manifatturiere, allora rischia una delusione,” ha avvertito.

Anche un eventuale accordo di libero scambio entro il 2025 – oggi ancora in bilico – non risolverebbe l’alta protezione doganale dell’India nei confronti dei Paesi terzi, un freno al suo posizionamento nelle catene globali del valore. Niclas Poitiers, ricercatore presso il think tank Bruegel, sottolinea che il modello industriale indiano è molto diverso da quello cinese, più aperto a integrare componenti e tecnologie da altri Paesi asiatici. “La vera domanda da un trilione di dollari è: l’India è davvero pronta ad aprirsi al mondo?”.

Anche Christophe Kiener, capo negoziatore dell’Ue, ha ammesso che i colloqui sono difficili: “Su certi dossier commerciali sembriamo provenire da due galassie diverse”.

Il nodo più spinoso resta l’agricoltura. L’Unione europea chiede accesso per alimenti e bevande, ma l’India – dove il settore primario impiega quasi la metà della popolazione – difende con forza le attuali tariffe elevate. Bruxelles punta soprattutto a far abbassare il dazio del 150% sui superalcolici. Ci sono segnali positivi: Nuova Delhi ha già ridotto le tariffe su gin e whisky scozzese britannici al 40% in dieci anni. Un andamento simile potrebbe essere negoziato con l’UE.

Ma altre frizioni restano. L’India ha escluso il comparto lattiero-caseario dai negoziati, irritando Bruxelles. Il commissario all’Agricoltura Christophe Hansen ha minacciato di rispondere bloccando concessioni su prodotti come lo zucchero, cruciale per Nuova Delhi.

Anche l’automotive è un fronte caldo. L’Ue chiede dazi zero sulle auto, ma l’India attualmente impone oltre il 100%. Un compromesso – come quello raggiunto dall’India con il Regno Unito, che prevede un dazio del 10% – è possibile, ma l’apertura all’Europa (soprattutto alla Germania) potrebbe minacciare l’industria automobilistica indiana, in particolare nel segmento elettrico.

Infine, resta l’ostilità dell’India verso il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), il dazio climatico dell’UE. Jaishankar ha ribadito che Nuova Delhi mantiene “profonde riserve” sulla misura, che potrebbe penalizzare le esportazioni indiane.