
Carri armati russi in Ucraina
Gli Stati membri dell’UE si apprestano a decidere se investire più a fondo nell’integrazione dei rifugiati ucraini oppure iniziare a preparare il terreno per un loro eventuale ritorno, qualora le condizioni lo permettano.
La Commissione europea sta intervenendo sul quadro giuridico che protegge i cittadini ucraini sfollati: una nuova proposta è attesa per oggi.
Già lo scorso mese, Euractiv aveva anticipato i prossimi passi e i colloqui previsti su possibili “exit strategies” da questo sistema di protezione.
In gioco c’è il futuro di 4,26 milioni di ucraini protetti dalla Direttiva sulla protezione temporanea (TPD) dell’UE, attiva fino a marzo 2025.
Bruxelles ha attivato la direttiva per la prima volta nel 2022, dopo l’invasione russa che ha scatenato la più grande crisi di rifugiati in Europa dalla Seconda guerra mondiale: oltre 6 milioni di ucraini sono fuggiti all’estero e altri 3,7 milioni sono stati sfollati internamente.
In tutta l’UE, ai rifugiati ucraini è stato garantito un accesso rapido a alloggi, lavoro, istruzione e assistenza sanitaria. Anche la Moldova e altri Paesi vicini hanno seguito questo esempio.
Ora che la guerra si protrae, la domanda per molti ucraini non è più perché tornare, ma perché restare.
Cosa spinge gli ucraini a restare in Europa
Uno studio congiunto di MPI Europe e Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) mostra che la permanenza dei rifugiati ucraini in Europa dipende da una combinazione di fattori personali e pratici.
Familiari, lavoro o sostegno linguistico, ma soprattutto ciò che i Paesi ospitanti offrono in termini di supporto, come l’alloggio o i servizi sociali. Questo perché l’attuazione della protezione temporanea varia da Stato a Stato.
I ritorni a breve termine in Ucraina sono più frequenti nei Paesi più ricchi, probabilmente perché viaggiare comporta dei costi.
Ma per quanto riguarda l’insediamento a lungo termine, a fare la differenza è il supporto concreto del Paese ospitante: sanità, istruzione, mercato del lavoro, welfare. Le famiglie con bambini o anziani danno priorità all’accesso a cure mediche adeguate, scuole di qualità e sussidi familiari.
Disoccupazione e alloggio incidono poco sulla decisione di restare, ma sorprendentemente emerge come cruciale il sostegno nella ricerca di lavoro: non tanto avere già un impiego, quanto ricevere aiuto per trovarlo. Molti ucraini sono altamente qualificati ma si ritrovano in lavori poco pagati, ostacolati da burocrazia e barriere linguistiche.
Polonia e Germania si distinguono per il buon equilibrio tra welfare e servizi per l’impiego, e non a caso sono i Paesi che attraggono e trattengono più rifugiati.
Cosa li spinge a tornare a casa
Nel 2023, il 91% dei rifugiati ucraini dichiarava di voler tornare un giorno, nonostante i rischi legati alla sicurezza, le abitazioni danneggiate e l’accesso limitato ai servizi essenziali.
Secondo lo studio, questa speranza è rimasta sorprendentemente stabile – un’eccezione rispetto a molte crisi di sfollamento prolungato, dove la prospettiva del ritorno svanisce col tempo.
La volontà di tornare è diffusa in tutti i Paesi europei, con picchi dell’80% in Ungheria e del 98% in Moldova.
Solo una minoranza, circa il 15%, afferma di voler tornare a breve, anche con la guerra ancora in corso – spesso per brevi soggiorni o visite temporanee.
I piani a breve termine variano ampiamente: in Paesi come Cechia e Polonia, oltre il 40% degli ucraini dice di voler tornare presto, mentre in Moldova la percentuale scende all’1%.
Il miglioramento della sicurezza in Ucraina – sia a livello locale che nazionale – resta il principale fattore determinante per un ritorno a breve termine. Ma i rifugiati citano anche il supporto ricevuto nel Paese ospitante, le opportunità lavorative e la necessità di “tornare a controllare” la situazione a casa.
Circa il 14% dei rifugiati in Europa proviene da territori attualmente occupati: molti dichiarano che la decisione di tornare dipenderà dal destino di quelle aree dopo la fine del conflitto.
Tra coloro che sono già rientrati in Ucraina, meno del 25% riferisce di riuscire a soddisfare la maggior parte dei bisogni primari, trovandosi ancora di fronte a ostacoli nell’accesso al lavoro, all’elettricità e ad altri servizi fondamentali.